Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu/481

Da Wikisource.

LA MOGLIE SAGGIA 465

Rosaura. Così si dice della cioccolata.

Lelio. Signora Marchesa, vi supplico, permettetemi ch’io me ne vada. Ho un affare di premura. (s’alza)

Florindo. Anch’io devo andar coll’amico.

Beatrice. Non so che dire, fate ciò che vi aggrada. (Ho curiosità di sentir Rosaura). (da sè)

Lelio. Servo di lor signore.

Florindo. Mi umilio a lor signore.

Rosaura. Serva.

Beatrice. Serva.

Lelio. (Andiamo, andiamo, e lasciamole taroccar fra di loro). (a Florindo)

Florindo. (Così non entreremo in alcun impegno). (partono)

SCENA VII1.

La Marchesa Beatrice e la Contessa Rosaura, poi il Servitore.

Beatrice. (Se mi perderà il rispetto, se ne pentirà). (da sè)

Rosaura. (M’aiuti il cielo, mi dia valor la prudenza). (da sè)

Beatrice. Ebbene, che volete voi dirmi?

Rosaura. Cara signora Marchesa, io sono la più afflitta donna di questo mondo. Vengo da voi per consiglio, per aiuto, per protezione.

Beatrice. In quel ch’io posso, vi servirò.

Rosaura. Voi che siete una dama saggia e virtuosa, compatirete il mio stato. A mio padre istesso fatta non ho la confidenza che son per farvi, e nell’aprirvi il mio cuore, comprenderete la stima ch’io di voi faccio, e della vostra virtù.

Beatrice. (Costei mi adula). (da sè)

Rosaura. Sarete ben persuasa, che non si dia in questo mondo un bene maggiore, oltre la domestica pace; cosicchè, se dar si potesse vera felicità sulla terra, credo certamente che la pace,

  1. Nell’ed. Bett. è unita alla scena precedente.