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292 ATTO TERZO

Beatrice. Io credo di no. Ma se ciò fosse, il testamento non si farebbe più?

Notaio. Oh bella! Si avrebbe a far parlare un morto?

Beatrice. Non sarebbe la prima volta.

Notaio. S’inganna, signora

Beatrice. Via, via, il signor Ottavio è vivo. Aspetti, che gli andrò a domandare, se vuole che ora V. S. gli legga la sua minuta, e che si concluda. (s’accosta al letto)

Notaio. Benissimo. (Costei la sa lunga). (da sè)

Beatrice. Ha detto così che si sente male, e vuole spicciarsi per timor di morire. Anzi colle sue mani mi ha dati questi trenta zecchini, acciò V. S. beva la cioccolata per amor suo.

Notaio. Non occorr’altro. Troviamo li testimoni, e faccia portar da scrivere.

Beatrice. Dove li troveremo? I miei servitori non vorrei che in ciò s’intrigassero.

Notaio. Andrò io a ritrovarli.

Beatrice. Non vorrei che fossero di quelli che vogliono parlare coll’ammalato, e disturbarlo.

Notaio. Lasci far a me. Ho io de’ testimoni a proposito. Conosco il bisogno suo e del signor Ottavio; mi lasci andare alla piazza, e torno in un momento.

Beatrice. Bravo, signor Agapito! Facciamo le cose come vanno fatte. Mi ha detto il signor Ottavio, che per voi ci sarà un piccolo legato di mille scudi.

Notaio. Si lasci servire, e sarà contenta. (parte)

SCENA XIV.

Beatrice, poi Lelio.

Beatrice. Manco male che ho dato in un uomo facile, pratico del mestiere, e pronto a’ ripieghi. Mi ha inteso bastantemente, e rimedierà egli al disordine. Per altro, o sia morto, o stia per morire, mi aveva ben corbellato. La scrittura della dote, ch’egli