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ripassare quei quattro versi che devo dire al pubblico prima d’incominciar la commedia.

Giunto è pure quel dì, che fu sei lune

Sospirato da noi. V’è chi rammenti
Con quai parole sulle scene istesse
L’ultima notte a congedarmi io venni?a
Senza frutto non fur le mie lusinghe.
Eccoci a voi: non di soverchio ardire
Ricolmi il sen, ma di speranza umile.
Quei nuovi studi e quelle foggie nuove
Che sotto scaltra allegoria proposi,
Di vesti al dosso lavorate e tese,
Le abbiam con noi. Ma di piacer con queste
Chi assicurar ci può? Basta una sola
Sicurezza per noi, che ragunati
Siate qui per gradir, non per formare
Confronti odiosi, e giudicar con pena.
Non parlo, no, con chi solea per genio
Colmar di grazie queste scene. I’ parlo
A chi da novità spinto sen venne.
Figli d’Adria felice, illustri, eccelse
Anime generose: in due si fanno
L’opre famose: dagli attori insieme
E dagli amici spettator cortesi.
Noi nell’oprar, voi nel gradir concordi,
Renderassi immortal la gloria nostra.
Attendete da noi l’opera prima;
Noi speriamo da voi grazia e perdono.

  1. L’ultima sera del Carnovale passato, l’Autore che dovea intraprendere di scrivere per questa Compagnia, fece dire alla prima donna alcuni versi, nei quali toccavasi il disegno concepito di trapiantare anche in questo teatro il novello gusto delle commedie di carattere, come fu fatto.