Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/264

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256 ATTO SECONDO

Pantalone. No, cara fia, calè un pochetto.

Ottavio. Il signor Pantalone lo sa meglio di voi. I mercanti sono informati delle famiglie che hanno rendite grosse. (ad Argentina)

Pantalone. Tutto quel che la vol. Aveu fenio? Oggio da sentir altro? (ad Argentina)

Argentina. Sì, signore. Avete da sapere che il signor Ottavio è virtuosissimo.

Pantalone. Via, me ne consolo.

Ottavio. Non dico per dire, ma son conosciuto; e se non fosse per vantarmi, vi direi che pochi arriveranno a saper quel che so io; ma non voglio far ostentazione...

Argentina. Bravissimo. Sentite con che modestia egli parla di se medesimo. Un’altra cosa voglio dire al signor Pantalone.

Pantalone. Son stufo; no vôi sentir altro.

Argentina. Avete da sentire anche questa.

Pantalone. Via, sentimo anca questa. (Custìa la gh’ha el soravento, la me fa far tutto quel che la vol). (da sè)

Argentina. Signor padrone: il signor Ottavio stamane è in disposizione di onorare la di lei tavola, e vossignoria si contenterà di accettarlo.

Pantalone. (Oh, questo po no). (da sè)

Ottavio. Che cosa dice, signor Pantalone?

Pantalone. Digo cussì...

Argentina. Già non vi è bisogno nemmeno di domandargliele queste cose. Dice di sì a drittura.

Pantalone. Ve digo cussì...

Argentina. Non importa al signor Ottavio, se voi non gli fate un trattamento magnifico.

Ottavio. Lo sa il signor Pantalone. Io son contento di tutto.

Pantalone. Ma no son miga contento mi...

Argentina. Eh sì, va benissimo.

Pantalone. Lassème parlar in tanta vostra malora.

Argentina. Che cosa volete dire? (con alterezza)

Pantalone. Che no lo voggio.

Argentina. No lo voggio? A me no lo voggio?