Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/356

Da Wikisource.
346 ATTO SECONDO
M. Brindè.   Milord, di mia sorella,

Benché di me si parli, mi è oscura la favella.
Voi che intendete dire? (alla Saixon)
M. Saixon.   Milord ve lo dirà.
M. Brindè. Spiegatemi il mistero. (a Milord)
Milord.   Jacob lo spiegherà.
M. Brindè. A voi. (a Jacobbe)
M. Saixon.   No, poverino, non lo può far davvero.
Jacobbe. Vi ama milord, madama; spiegato ecco il mistero.
(alla Brindè)
M. Brindè. Un fenomeno è questo da me non preveduto.
Milord. E ver, del vostro merto il mio cuore è un tributo.
M. Saixon. Bravo, bravo, l’ha detto.
Milord.   Madama, a voi non parlo.
(voltandosi con isdegno alla Saixon)
M. Brindè. (Che dir mi consigliate?) (piano a Jacobbe)
Jacobbe.   (Convien disingannarlo).
(piano a madama Brindè)
M. Brindè. Milord, del vostro affetto grata vi sono, il giuro; (s’alza)
Ma di novelle nozze, credetemi, non curo.
Incomodo provai la prima volta il nodo,
Ora tranquillamente la libertade io godo.
Chiedo perdono a voi, se vi rispondo audace;
Più caro mi sarete, se mi lasciate in pace. (siede)
M. Saixon. Oh bella, oh bella affé! (ridendo)
Lorino.   Oh bella! (ridendo)
Milord.   Non ridete.
(alla Saixon e Lorino)
Che, giuro al ciel, dei scherni or or vi pentirete.
Madama, loderei di cauto un tal pensiero, (alla Brindè)
Se cogli accenti vostri voi mi diceste il vero;
Ma avendo di altre fiamme già prevenuto il core,
Conosco che ponete la maschera all’amore.
Col precettore ardito voi siete in ciò di accordo:
Parlo con te, Jacob, che ora fai meco il sordo.