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IL VECCHIO BIZZARRO 441

SCENA XI.

Flamminia ed Argentina.

Flamminia. Peggior nuova non mi poteva dare di questa.

Argentina. Il signor Fiorindo, di lei fratello, è uomo molto risoluto. Ieri non si sognava di partire di Venezia; ed ora tutto ad un tratto ordina che si facciano li bauli.

Flamminia. E di più non mi vuol dir nemmeno il motivo.

Argentina. Partirà, m’immagino, anche il signor Ottavio.

Flamminia. Non so; è qualche giorno che io non lo vedo.

Argentina. Può essere... sarà così senz’altro. Vorranno far le nozze a Livorno per dar piacere ai parenti.

Flamminia. Io non ho congiunti che mi premano. Sto volentieri a Venezia, e se stesse a me, Livorno non mi rivedrebbe mai più.

Argentina. Le piace dunque stare a Venezia?

Flamminia. Cara Argentina, lo sai ch’io sono figlia d’un Veneziano. Mio fratello ogni anno mi fa fare un viaggetto con lui. Ho veduta in tre anni quasi tutta l’Italia, e non ho trovato un paese che più di questo mi piaccia.

Argentina. Anch’io ho servito in qualche città, e quando ho gustato la libertà di Venezia, ho proposto di non partirvi mai più. Servo un padrone, che per la sua ipocondria è fastidioso un poco, ma soffro volentieri più tosto che cambiar paese.

Flamminia. In fatti per ogni genere di persone trovo essere Venezia una città assai comoda. Qui ciascheduno può vivere a misura del proprio stato, senza impegno di eccedere e di rovinarsi per comparire cogli altri. I passatempi sono comuni a tutti, e può goderne tanto il povero, quanto il ricco. La maschera poi è il più bel comodo di questo mondo.

SCENA XII.

Florindo e dette.

Florindo. Signora sorella, dubito che non vi abbiano fatta la mia ambasciata.