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458 ATTO SECONDO


Mi tanto stimeria a imprestar a un amigo sta borsa, dove ghe sarà dusento zecchini in circa, come spuar per terra. Co se xe seguri de aver i so bezzi, no se pol far manco servizio de questo. E despiase a un galantomo sentirse dir de no. La me perdona, sior Fiorindo, l’ha fatto mal.

Ottavio. Certamente mi è un poco rincresciuto sentirmi negar in faccia un piacere dal signor Fiorindo.

Pantalone. Per altro po con elo no gh’ave gnente, no gh’ave inimicizia, sè pronto a tornar quel che gieri.

Ottavio. Certamente.

Pantalone. E ve despiase d’averlo desgustà.

Ottavio. Ancora.

Pantalone. E saressi pronto a darghe ogni sodisfazion.

Ottavio. Lo farei.

Pantalone. Sentìu? Seu sodisfa? (a Fiorindo)

Florindo. Lo dice in una maniera...

Pantalone. Cossa voleu? Che el se butta in zenocchion? L’ha dito anca troppo. Se sè omo, v’ha da bastar. A monte tutto, e che se fazza sta pase.

Florindo. Ma come, signore?...

Pantalone. Come, come, ve dirò mi come. Qualchedun no saveria far una pase senza bever, o senza magnar. Mi mo vedeu? Giusto le baruffe con una presa de tabacco. Anemo: gingè del serraggio. (offre del tabacco, e tutti e due lo prendono) La pase è fatta.

Florindo. Io, torno a dirvi, son ragionevole.

Ottavio. Nè io senza ragione.

Pantalone. Che cade1? La xe fatta, e no la se desfa. Vegnì qua. Deme la man. Amigo, e amici. (prende le mani di tutti due, e poi le unisce) Vegnirò po da siora Flamminia.

Florindo. Ella vi attenderà con piacere. È bellissimo il carattere di Pantalone, amico della pace, onorato e gioviale. (parte)

  1. Che importa?