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IL VECCHIO BIZZARRO 463

Clarice. Ed ora vi è tornato male.

Celio. Se voi mi venite a seccare.

Clarice. Parliamo di cose allegre.

Celio. Sì, io ho bisogno d’un poco d’allegria.

Clarice. Signor zio, quando mi avete fatto venire a Venezia, mi avete scritto che avreste pensato a collocarmi.

Celio. E vero. Avete voi inclinazione al ritiro, o al matrimonio?

Clarice. Non saprei.

Celio. Ditelo liberamente.

Clarice. Vorrei essere intesa senza parlare.

Celio. Io non intendo muti.

Clarice. Guardatemi in ciera. Che cosa vi pare?

Celio. Se ho da dire il vero, per il ritiro non mi parete disposta.

Clarice. Dunque, che cosa faremo?

Celio. Vi mariterò.

Clarice. Oh bravissimo! e mi darete una buona dote.

Celio. (Sputa.)

Clarice. Sputate quanto volete, signor zio. Son vostra nipote. Mio padre mi ha lasciato poco; non ho altra speranza che in voi.

Celio. Vi mariterò, vi darò la dote. (sputa)

Clarice. (Sputa) Ora fate sputare anche me.

Celio. Se qualcheduno vi farà domandare, discorreremo.

Clarice. Ditemi, signor zio: il signor Pantalone non sarebbe per me a proposito?

Celio. Lo sarebbe certo; ma egli non ha mai voluto saper niente di donne.

Clarice. E se a me desse l’animo d’innamorarlo?

Celio. Vi stimerei la più brava donna del mondo.

Clarice. Un’altra volta ch’io gli parli, vi prometto d’essere a segno.

Celio. Certamente sarei contento che prendeste il signor Pantalone; anzi voglio io medesimo dargliene un tocco, e se questo matrimonio seguisse, voglio ch’egli venga a stare con me, essendo io sicurissimo che la sua compagnia, il suo bell’umore mi terrebbe allegro, e non avrei bisogno nè di medico, nè di medicine.