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IL VECCHIO BIZZARRO 499

Florindo. Anch’io ho da parlarvi, signor Pantalone.

Pantalone. Son qua per tutti. E elle comandele gnente da mi? (a Flamminia e Clarice)

Clarice. La signora Flamminia vorrebbe qualche cosa.

Pantalone. La comandi, patrona. (a Flamminia)

Florindo. La signora Flamminia vorrebbe sapere, se voi vi prendete spasso di lei.

Pantalone. Per cossa me disela sto tanto, patron?

Florindo. Che cosa avete voi detto a me tre ore sono, in proposito di mia sorella?

Pantalone. Ho resposo a quel che vu m’avè dito.

Florindo. Io vi ho detto, ch’ella desiderava di maritarsi in Venezia.

Pantalone. E mi ho resposo, che saria fortunà quell’omo che ghe toccasse.

Florindo. Ho soggiunto, che sarei contentissimo se voi foste quello.

Pantalone. Ho replicà, che no me chiamerave degno de sta fortuna.

Florindo. Ed io ho promesso di parlare con lei.

Pantalone. E mi ho mostrà desiderio de sentir la risposta.

Florindo. Che dice ora il signor Celio, che si tratta l’accasamento fra voi e la signora Clarice?

Pantalone. Se el se tratta, ho da saverlo anca mi.

Celio. Non vi ho detto, che mia nipote ha qualche inclinazione per voi?

Pantalone. Xe vero; e mi cossa v’oggio resposo?

Celio. Avete parlato con della stima di lei.

Pantalone. I omeni civili no desprezza nissun. Ma za che semo alle strette, parlemo schietto, e spieghemose un poco meggio. Mi veramente son arrivà a sta età senza maridarme, perchè m’ha piasso la mia libertà; e la vita che me piaseva de far, no la giera troppo comoda per una muggier. Adesso son in ti anni. Me xe morto do sorelle, che me serviva de compagnia; me governo, vago a casa a bonora; e se me capitasse una bona occasion, fursi fursi faria in vecchiezza quello che in zoventù non ho volesto far. In sta casa per altro non son vegnù