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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/60

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56 ATTO PRIMO

Eufemia. No certo: se non credete, ecco la tasca.

Pantalone. E a ti cossa t’alo dà? (ad Argentina)

Argentina. Con me, signore, compatitemi, voi non ci entrate.

Pantalone. Lo voggio saver.

Eufemia. Via, ve lo dirò io: le ha dato un ducato.

Pantalone. Lassa véder.

Argentina. Oh, questo non me lo pigliate.

Pantalone. Baroncella! se tol i ducati, ah? Avézzate a far la mezzana.

Argentina. Oh cospetto di bacco! Me l’ha dato suo padre.

Pantalone. Vostro padre donca v’ha dà sti quattro zecchini. (ad Eufemia)

Eufemia. Non l’avete veduto da voi medesimo?

Pantalone. E per cossa ve li alo dai?

Argentina. Via, v’averà fatto un affronto il signor Dottore a dare quattro zecchini a vostra moglie?

Pantalone. Mi no digo che el sia un affronto. Ma perchè ve li alo dai?

Eufemia. Acciò mi compri dei nastri, delle spille, della polvere di cipro e simile corbellerie.

Pantalone. Cosse che con tre lire se provvede per un anno. Mi ve li impiegherò ben. Vederè che figura che ve farò far con sti quattro zecchini.

Eufemia. Li volete tener voi?

Pantalone. Sì ben, i tegnirò mi. Vu no savè custodir i bezzi.

Argentina. (Non glieli dà più). (dasè)

Eufemia. Se non mi lasciate quei denari, cosa volete che dica mio padre?

Pantalone. Vostro padre v’ho dito che no lo voggio.

Eufemia. Poverino! se mi dona qualche cosa, lo volete impedire?

Pantalone. Se el vien in casa mia per comandar, no lo voggio. Se el vien po per farne qualche finezza, per darne qualche segno d’affetto, lo sopporterò. Ma in casa mia son paron mi, e nissun a mia muggier ha da portar ambasciate. Ve serva de regola, e se semo intesi. (va per partire)