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58 ATTO PRIMO


dissimulando, posso sperare d’intenerirlo. Alfine è mio marito, e sia o per un affetto che i primi giorni gli ho concepito; o sia perchè il matrimonio medesimo infonda nelle mogli onorate un rispetto, una soggezione al marito; o sia una mia natural timidezza, di cui però non mi pento: so che io non sono capace d’una violente risoluzione, e mi ridurrò a morire sotto le mani di mio marito, prima che recare un’ombra di disonore al suo nome, alla sua famiglia, alla nostra riputazione.

Argentina. Signora, una visita.

Eufemia. Una visita! chi è?

Argentina. La signora donna Aspasia.

Eufemia. Che stravaganza! In casa mia non credo ci sia più stata.

Argentina. E così, che facciamo?

Eufemia. Non vorrei che il signor Pantalone...

Argentina. Il signor Pantalone è uscito di casa. E poi è una donna, non è già un uomo.

Eufemia. Dille che è padrona.

Argentina. (Mi pare impossibile che si dia al mondo una donna che abbia tanta soggezione di suo marito). (da sè, parte)

SCENA XV.

Donna Eufemia, poi donna Aspasia.

Eufemia. Eppure, se viene mio marito, è capace d’adirarsi anche per questa visita. Sono in una costituzione d’aver paura di tutto.

Aspasia. Serva di donna Eufemia.

Eufemia. Serva umilissima, donna Aspasia.

Aspasia. Sono venuta a vedervi, desiderosa di star mezz’ora con voi.

Eufemia. Sono finezze ch’io non merito. Favorite d’accomodarvi. (siedono)

Aspasia. Cara amica, che vita è mai la vostra? Possono ben venire feste, carnevali, funzioni, donna Eufemia non si vede mai.

Eufemia. Sapete il mio naturale: anche da fanciulla mi piaceva vivere ritirata.