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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/96

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92 ATTO SECONDO

Luigi. Sì, l’ha presa.

Aspasia. Colle sue proprie mani?

Luigi. Colle sue proprie mani. S’è fatta un poco pregare, poi l’ha accettata.

Aspasia. Oh falsa bacchettona sguaiata! e meco fa tanti fichi per un ventaglio? Vo’ che mi senta, vo’ dirle quel che si merita.

Luigi. Ecco qui: non guarderete per un puntiglio precipitarmi.

Aspasia. Voi che cosa avete divisato di fare?

Luigi. Mille cose mi passano per la mente; ma la migliore di tutte mi sembra questa. Vi è il dottor Balanzoni, padre di donna Eufemia, che credo non sappia niente degli strapazzi che soffre la sua figliuola.

Aspasia. Non volete che il padre li sappia?

Luigi. Tutto non sa certamente. Ho parlato con lui più volte, e convien dire che non lo sappia. Donna Eufemia per timor di quel cane non parlerà. Ma io l’informerò d’ogni cosa, e mi unirò seco lui per levargliela dalle mani.

Aspasia. Voi per questa strada non farete niente.

Luigi. Maledetta voi ed il vostro niente. (parte)

SCENA XXI.

Donna Aspasia sola.

È una gran bestia. Subito si riscalda. Io gli voglio bene: gli presto denari, gli faccio quasi la mezzana, e per una parola mi maltratta. Non farà niente, lo dico e lo manterrò; per questa strada non farà niente. Se donna Eufemia vuol l’amicizia di don Luigi, troverà ella il modo di coltivarla; ma s’ella non la desidera, ogni cosa è buttata via. Noi altre donne siamo così, per genio siamo capaci pur troppo di qualche debolezza, ma quando non vogliamo, non vagliono nè monti d’oro, nè catene di ferro; e ci pregiamo qualche volta di chiamare col titolo di costanza una patentissima ostinazione. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.