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196 ATTO TERZO'


SCENA XXI.

Orazio, il Caporale e sei granatieri.

Orazio. Sì, m’arrendo; giacchè così vuole il destino.

Caporale. Prendetelo fra le armi (gli leva la spada, i granatieri lo circondano)

SCENA ULTIMA.

Pantalone, il Dottor Polisseno, Ottavio, Ridolfo,
il Tenente, e detti.


Caporale. Eccolo, signor tenente. Si è ritrovato, e con una pistola alla mano tentò resistere alle nostre armi.

Tenente. Pagherà il fio di tutte le sue colpe.

Orazio. Signore, ascoltatemi, se non siete inumano. La mia nascita è assai civile; la disperazione mi fece fare soldato; la sinderesi mi obbligò a disertare, e l’esempio di tanti altri m’insegnò la scuola degl’impostori. Falsi caratteri, mentite impronte, macchine, falsità, estorsioni, sono colpe da me commesse dopo la deserzione. Son reo di morte, il confesso, ma voi mi potete salvare. Voi solo potete farmi quel bene, che un consiglio di guerra non ha arbitrio di altrui concedere, che un re medesimo avrebbe soggezion d’accordare; potete farlo senza marca di disonore, senza timore d’imputazione, ed eccone il fondamento. Un reo che trovato sia in uno stato alieno, o non s’arresta, o con facilità si rilascia. Eccovi aperto il campo di usare la vostra pietà verso d’un infelice, di praticare un atto eroico in faccia a questi, che aspettano forse di conoscer chi siete dalle prove della vostra virtù. Signore, colle mie suppliche intendo muovervi per questa parte. Se ciò non vi tocca il cuore, è disperato il mio caso, nè aspettate da me atti di maggiore viltà.

Tenente. Amico, la vostra rettorica fa conoscere che vi hanno fatto studiare, ma che male siete riuscito, usando a danno vo-