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LA MADRE AMOROSA 239


avviene che l’uomo amerà più talora un figlio non suo, allevato sotto gli propri occhi, di quello faccia un vero parto delle sue viscere, o sconosciuto, o da sè lontano. Povera donna Aurelia! mi fa pietà. Per cagione di questa sua ingrata figlia, soffre gl’insulti di sua cognata e sacrifica i più bei giorni dell’età sua. Io l’amo sinceramente, e non la posso adulare. Eppure, chi vuole delle donne la grazia, conviene necessariamente adularle: poche essendo quelle che, conoscendo il pregiudizio delle loro passioni, cerchino il disinganno ed amino la verità. (parte)

SCENA VII.

Camera di donna Lucrezia.

Donna Laurina, donna Lucrezia, don Ermanno, Florindo,
Brighella, Traccagnino ed un Notaro.

Notaro. La scrittura è terminata. Comandano ch’io la legga?

Lucrezia. Sì, leggetela.

Notaro. Vi vorrebbero due testimoni.

Ermanno. Ecco qui due galantuomini. Traccagnino, nostro servitore, e Brighella, servitor dello sposo.

Notaro. Ma... perdonino; in un contratto di nozze fra persone di qualità, pare che non convenga servirsi di due servitori per testimoni.

Ermanno. Chi volete voi che si vada cercando? Si hanno a fare le cose fra di noi privatamente. Se si chiamano testimoni di merito, pretendono rinfreschi, caffè, cioccolata: tutte cose gettate via. Se si ha da spendere un mezzo ducato, è meglio lo abbia il notaro che ha fatta la sua fatica.

Notaro. Signore, pretenderebbe di darmi mezzo ducato per un contratto di nozze?

Lucrezia. Che cosa vorreste di più? Guadagnare in un’ora mezzo ducato, vi par poco?

Florindo. Via, via, signor Notaro, avrete da far con me.

Notaro. Benissimo; non dico altro.