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266 ATTO SECONDO


Ottavio. Ma la povera donna Aurelia? Averò cuore di abbandonarla? Posso impedire che sia tradita, e non lo farò? Son cavaliere, son uno che l’ama. Brighella, cercala, avvisala. Povera dama! Non si abbandoni, che non lo merita la sua bontà. (parte)

Brighella. Sto povero signor l’è cotto. Lo compatisso, e tanto lo compatisso, che faria de tutto per renderlo consolà. Gran cossa l’è sto amor! Chi nol prova, nol crede. Mi l’ho provà pur troppo, e lo so. Ho scomenzà da ragazzo, e co l’andar dei anni ho cambià el modo, ma non ho cambià la natura. Dai diese sina ai disdotto ho fatto l’amor co fa i colombini, zirando intorno alla colombina, ruzando pian pianin sotto ose, e dandoghe qualche volta una beccadina innocente. Dai disdotto sina ai vintiquattro ho fatto l’amor co fa i gatti, a forza de sgraffoni e de morsegotti. De vintiquattro me son maridà, e ho fatto come i cavai da posta. Una corsa de un’ora, e una repossada de un zorno. Adesso me tocca a far co fa i cani: una nasadina, e tirar de longo. (parte)

SCENA V.

Camera di donna Lucrezia.

Don Ermanno e Traccagnino.

Ermanno. Non voglio che dicano ch’io e donna Lucrezia siamo avari. Vuò dar fondo alla casa, e si sguazzi. Facciamo un poco d’illuminazione. Tu metterai queste due candele sulle lumiere, (a Traccagnino) e queste altre due sui candelieri.

Traccagnino. De cossa eli sti moccoli de candele, che i è cussì negri?

Ermanno. Sono di cera. Sono candele che hanno servito allo sposalizio del povero mio cognato.

Traccagnino. El li pol lassar in testamento fin a la quarta generazion. (va a metterli sulle lumiere) I oio da accender sti moccoli?

Ermanno. Signor no. È ancora presto. Si farà l’illuminazione