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26 ATTO PRIMO

SCENA II.

Il Conte solo.

Temerario! Ah, conviene ch’io lo sopporti e taccia;

È un servitore antico che mi riprende in faccia.
So che gli cal non poco l’onor, la gloria mia;
E sa con il decoro unir l’economia.
Così mi prevalessi talor de’ suoi consigli,
Che or non mi troverei fra debiti e perigli.
Oh dura condizione di chi seguir s’impegna
Quel che la moda e l’uso, quel che l’esempio insegna.
Oh quanti sacrifici si fanno all’ambizione!
Questa trionfa in oggi sopra ogni altra passione.
Ah sì, lo provo io stesso, io che servire or bramo1
Donna d’orgoglio piena, che tollero e non amo.
E sol perchè non rida il mondo che mi osserva,
L’impegno vuol per ora ch’io soffra e ch’io la serva.
Ecco mia moglie. Ah, questa merta d’esser servita;
Ma servitù di sposo dopo tre dì è finita. (vuol partire)

SCENA III.

La Contessa e detto.

Contessa. Conte.

Conte.   Che comandate? (voltandosi)
Contessa.   Udite una parola.
Conte. Eccomi.
Contessa.   Vuò pregarvi di una finezza sola.
Conte. Dite pure.
Contessa.   Vorrei, se la domanda è onesta,
Saper per qual ragione dar vogliate una festa.
Non dico che padrone di darla voi non siate,
Ma l’uso vuol che sieno le mogli consultate2.

  1. Guibert-Orgeas e Zatta: io che di servir bramo.
  2. Così l’ed. Zatta. Nelle edd. Pitteri e Guibert-Orgeas leggesi: Ma vuol che sian le mogli l’uso in ciò consigliate.