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IL FESTINO 27
Se deggio uscir di casa, v’andrò senza contesa;

Se ho da ricever io, giust’è che ne sia intesa.
Conte. Altra cagion, Contessa, non muove il genio mio,
Che di goder gli amici sollecito desio.
Di feste e di banchetti anch’io son favorito;
Giust’è che in casa mia diasi un ballo e un convito1.
Contessa. Anche la cena?
Conte.   A pochi, dagli altri separati.
Contessa. Posso sapere almeno chi sieno i convitati?
Conte. Li sceglierete voi.
Contessa.   Ben volentier, signore.
Ad invitar io mando sorella e genitore,
Aspasia mia cugina, la vostra genitrice
Conte. Benissimo, e per quarta madama Doralice.
Contessa. Caro signor consorte, stupire io mi volea
Che in mezzo non ci fosse la vostra cicisbea.
Conte. È dama come le altre, può star d’ogni altra al paro.
Contessa. Sì, sì. Di tutto il resto or son venuta in chiaro.
La festa ed il convito son fatti per Madama.
Per me non aspettate che inviti alcuna dama;
Anzi da mia cugina andar son persuasa.
Madama potrà fare gli onori della casa.
Conte. Contessa, in altro tempo andate ove volete;
Non cerco se ci siete in casa o non ci siete:
Ma vuò che questa sera le dame convitate
Sieno dalla padrona servite ed accettate.
Contessa. Madama Doralice godrà ch’io non ci sia.
Conte. Vergogna è in una dama nutrir tal gelosia.
Contessa. Gelosa non son io del volto peregrino:
Forse sarà Madama la peggio del festino;
Ma son più di sei mesi, che qui non è venuta:
Quando m’incontra, o fugge, o appena mi saluta.
Segno che nel vedermi poco piacer risente,
Che l’amicizia vostra non è tanto innocente.

  1. Nell’ed. Zatta si legge: Giust’e che dia in mia casa un ballo ed un convito.