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TERENZIO 391

NOTA STORICA


Fin da giovane il Goldoni, scrivendo gli intermezzi buffi per il teatro di S. Samuele, folleggiò con Aristide e con Pisistrato; e già il pubblico veneziano, anche nei teatri di prosa, era solito ammirare lo scenario greco-romano nei melodrammi del Metastasio recitati dalle compagnie comiche. Tuttavia non fu piccola audacia quella del creatore di Mirandolina, quando nel settembre o nell’ottobre del ’54, guarito appena dell’ipocondria che lo tenne quasi nell’ozio per molti mesi, si diede a stendere il Terenzio. Piuttosto che all’Anfitrione (1668) di Moliere, ci avviene di pensare al Democrito (1700) di Regnard; ma la priorità di una commedia pseudo-storica di costume antico, in disegno almeno, rivendicò sul Goldoni il noto autore dei Liberi muratori, Francesco Griselini (v. Nota storica delle Donne curiose, vol. IX della presente ed.), nella prefazione del Socrate filosofo sapientissimo, tragicommedia martelliana dedicata a S. E. Niccolò Balbi (Ven., Deregni, 1755): «Dopo il favorevole accoglimento che ottenne dalle persone illuminate il Terenzio del Sig. Goldoni, io dovea certamente tralasciare di dar dietro ad un’Opera da me intrapresa sullo stesso gusto, primieramente attesa l’impossibilità ch’ella del medesimo regger potesse al paragone, e poi perchè nel prologo da lui fatto stampare e dispensare della sua Commedia Togata, prometteva l’Aristofane, Commedia Paliata, in cui egli doveva necessariamente trattare di molte cose, ch’eran intime all’argomento da me scelto eziandio. Ma siccome l’idea di comporre il mio Socrate non era nata in me dopo avere ammirato il Terenzio, ma gran tempo innanzi, come far ne possono testimonianza varj amici miei a cui l’avevo comunicata fin da’ principi della state passata, perciò anzi che perdermi di coraggio mi rianimai a condurlo a fine, non col vano pensiere di erigermi emulatore del celebre Riformatore del Teatro Italiano, per cui ho una particolare amicizia e rispetto, ma per il solo fine di darlo alla Compagnia de’ Commedianti del Teatro Grimani, con cui io ne teneva impegno».

Ho trascritto questo lungo frammento, perchè il bizzarro poligrafo accenna alla promessa fatta da Goldoni al pubblico di esporre in scena anche Aristofane (v. pure Stef. Sciugliaga nel Congresso di Parnaso, 1754), promessa che si trovava nel Prologo stampato in foglio volante, e che poi scomparve nella ristampa in testa alla commedia (ed. Pitteri, III, genn. 1758), perchè non fu mantenuta. Evidentemente il Goldoni era stato condotto a comporre un’altra commedia storica dal ricordo del buon successo ottenuto dal Moliere (v. pref.) e subito vagheggiava un Aristofane, parendogli in questa triade di onorare la commedia greca, latina, francese, cioè tutta la commedia nei tre grandi padri. Chissà che nel fondo dell’animo non ambisse di occupare il quarto posto nell’avvenire, come restauratore e principe della commedia italiana, se già gli adulatori e gli amici gli decretavano a chiare note il bell’onore?

Della preferenza di Terenzio a Plauto la ragione si potrebbe forse trovare nella scarsa familiarità cogli autori latini, che al Goldoni rendeva più difficile di penetrare nell’arte plautina, ma preferiamo crederla dovuta più che altro all’effetto drammatico (v. A. III, sc. 1) e alla maggior fama dell’Africano nel