Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/42

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36 ATTO PRIMO
Maurizio. Conte, vi riverisco.

Conte.   Signore, a voi m’inchino.
Maurizio. È ver che questa sera preparasi un festino?
Conte. E vero.
Maurizio.   E non lo dice al genitor la figlia?
Del suocero si lascia da un canto la famiglia?
Conte. Signor, siete padrone del ballo e della cena.
Maurizio. No, Conte, vi ringrazio. Non vi mettete in pena.
Amante non son io di tai trattenimenti,
E so che in tal incontro si sfuggono i parenti.
Conte. Questo rimbrotto acerbo non so di meritarmi.
In casa mia vietato sarà di soddisfarmi?
Maurizio. Potete in casa vostra sfogar le oneste voglie;
Ma un po’ più di rispetto si deve ad una moglie.
Conte. Ella di me si lagna?
Maurizio.   Si lagna, e con ragione.
Io compatisco in tutti l’impegno e la passione;
Ma la ragion insegna, insegna la prudenza,
Che deggia l’onest’uomo salvar la convenienza.
Non portasi in trionfo ad una moglie in faccia
Cosa che le dia pena, oggetto che le spiaccia.
Conte. Come, signore?...
Maurizio.   Amico, sfuggite un tal pericolo.
Su ciò dissi abbastanza. Passiamo ad altro articolo.
La Piazza ed il Ridotto di voi si burla e ride;
E il pubblico assai presto degli uomini decide.
Si sa che a braccia quadre spendete e profondete;
Si sa che il patrimonio anche intaccato avete.
E quei che in questa sera da voi piacere avranno,
Per solita mercede di voi si rideranno.
Che bel piacere è il vostro sentir mentita lode,
Allor che la coscienza vi macera e vi rode?
Partiti i commensali, partiti i danzatori,
Succeder nella sala in folla i creditori?
La notte al chiaro lume brillare in lieta danza,