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424 ATTO PRIMO
Cavaliere.   Per lui, signore, io dubito

Passione in voi soverchia.
D. Eleonora.   Tacete.
Cavaliere.   Taccio subito.
Lo so cha anfana a secco, so che in arena semina,
Chi l’ostinazione vuol guarir nella femmina. (parte)

SCENA XI.

La Marchesa Eleonora, donna Eleonora, don Gherardo.

Marchesa. Donde crediamo noi tant’astio in lui derive?

D. Eleonora. Invidia è che lo muove contro d’un uom che scrive.
Perchè quattro riboboli sa unire in lingua tosca,
Per maestro di lingua vuol che ognun lo conosca;
E se termine trova, che a lui rassembri nuovo,
Lo critica, e pretende trovare il pel nell’uovo.
Ripieno è di proverbi, usa parole sdrucciole;
Ai gonzi per lanterne suol vendere le lucciole.
Quei che con fondamento non han studiato mai,
Lodano questi tali chiamati parolai;
Ma gli uomini, di cui le teste non son zucche,
Distinguere san bene chi spaccia fanfalucche.
Gherardo. (Non si può dir di più. Ella è la prediletta).
Marchesa. È vero che i Lombardi non han lingua perfetta,
Ma studiano gli autori, scelgon di loro il buono;
Dai vizi della lingua spregiudicati sono.
Non dicon la mi casa, invece della mia.
La mana per la mano non corre in Lombardia.
Scrive ben, parla bene, quivi ancor chi ha studiato;
Scrive ben, parla bene sovra d’ognun Torquato.
Gherardo. (E questa in guisa parla, che di lui pare accesa.
Curiosità mi sprona). M’inchino alla Marchesa.
Marchesa.   Serva di don Gherardo.
D. Eleonora. Serva, signor consorte.
Quant’è che si trattiene nascosto in queste porte?