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TORQUATO TASSO 443
Torquato.   Siete ancora contento? (a don Gherardo)

Gherardo. È de’ Napolitani solito complimento.
Fazio. Vedrai la gran cittate, ch’ogni cittate avanza,
De popolo ripiena, ripiena d’abbonnanza.
Abbonna de persone nobile e vertuose,
D’omeni letterati, di femmine graziose.
Tutti con braccia apierte là stannote aspettanno.
Ciascun se sente dicere, quanno l’avrimmo, quanno?
Dimme, verrai tu meco?
Gherardo.   Non ci verrà, signore.
Fazio. Che te venga lo canchero in mezzo dello core.
Gherardo. Ecco un’altra finezza. (a Torquato)
Torquato.   Finezza a voi dovuta.
Fazio. Possa essere accise (a don Gherardo)
Gherardo.   Sentite? mi saluta, (a Torquato)
Fatemi grazia almeno di dirmi, in cortesia,
Giacchè tanto mi onora, chi è vossignoria?
Fazio. M’hai frosciato abbastanza: te possano pigliare
Tanti cancheri quante le arene dello mare.
Lo fulmene te possa piglià tra capo e cuollo;
Te possa soffocà le fiamme de Puzzuollo;
Possa crepà con tutte porzì le imprecazioni
De tutti i mareiuoli, de tutti i lazaroni;
E quanno sarà ito in braccio a Belzebù,
Poss’essere scannato un’atra vouta, e chiù. (parte)

SCENA XI.

Torquato e don Gherardo.

Gherardo. Chiamatelo, chiedete se nulla si è scordato.

Torquato. Dirò, senza di lui, che siete uno sguaiato.
Non si tratta così, di voi mi maraviglio;
Oprate senza senno, senz’ombra di consiglio.
Sempre da voi mi tocca soffrir ingiurie nove.
Quel forestier mi preme. Andrò ad udirlo altrove, (parte)