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452 ATTO TERZO
Tomio. Sior cavalier mio caro, l’è una bella seccada.

Gherardo. Lo fo, perchè un amico all’altro può giovare.
Lo fo per comun bene.
Tomio.   No son gonzo, compare.
Gherardo. Gonzo perchè? Un amico dovrebbe esser lodabile.
Tomio. Vu no me tirè zoso, sier bombasina amabile.
Gherardo. Però se mal concetto di me avete formato,
Andate, ecco la porta che mena da Torquato.
Il signor Veneziano, se non dirà chi sia,
Qui resterà per poco, lo faremo andar via.
Tomio. (Lo vôi gòder sto matto). (da sè) La senta una parola.
Vorla saver chi son? Cosmo dalla carriola,1
Quello che in Marzaria fa le fazzende soe;
E son vegnù a Ferrara a comprar delle scoe.
Gherardo. Della scusa m’appago; per or basta così.
Tomio. Andemio, o non andemio?
Gherardo.   Torquato eccolo qui.

SCENA VII.

Torquato e detti.

Tomio. Amigo, finalmente ve vedo e v’ho trovà.

Torquato. Perchè non inoltrarvi?
Tomio.   Causa sto sior ch’è qua.
Torquato. Ma don Gherardo, eccede la sofferenza mia.
Gherardo. Che occor che vi scaldiate? Ecco qui, vado via.
(s’allontana)
Torquato. S’è lecito, signore, conoscervi desio.
Gherardo. (Saprò s’egli si chiama o Cosimo, o Tomio). (s’accosta)

  1. Ridicolo uomo del volgo, notissimo ai coetanei di Goldoni. Ricorda Piero Gradenigo nei Notatorj (14 genn. 1756) una canzonetta colla falsa morte di Cosmo Napoletano «che per tanti anni poliva le strade della città, ed era spacciato dal popolo uomo semplice; e fu quello che introdusse la redicola regata delle cariole sopra le strade». Di questa regata degli spazzini ci serbò un disegno il Grevembroch, nella raccolta ch’è al Museo Civico di Venezia: v. Molmenti, Storia di Ven. nella vita privata, vol. III, Bergamo, 1908, pp. 216 e 217.