Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/519

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In mezzo a tante critiche vogliono un posticino anche certi versi dell’autore:

          . . . el mio Tasso un'opera me par
               Non indegna de un’anima ben fata,
               Vedendo in quela la virtù trionfar.
          E la passion, che nel poeta è nata,
               E l’agita, e lo trà for de cervelo,
               Per debolezza de natura ingrata,
          Fa parer sempre più felice e belo
               El ritiro dal mondo, e anca mi imparo
               Che a ogni studio preval quel del vangelo.

Ma invece dell’autocritica che il primo verso sembra promettere il poeta compunto ci dà solo quel po’ di morale cattolica che, a edificazione d’una monaca novella (Componim. diversi, t. II, p. 151), egli stava ricavando dalle sue commedie fino allora uscite nell’edizione Pitten. E quale l'intimo pensiero suo intorno al valore del Torquato Tasso? Certo gli era caro, che con viva compiacenza i Mémoires (1. c.) ne descrivono il buon esito: «Cette pièce eut un succès si general et si constant, qu’elle fut placée par la voix publique dans le rang, je ne dirai pas des meilleures, mais des plus heureuses de mes productions». Subito però le accoglienze non devono essere state molto calorose. Lo stesso autore nel Complimento fatto al popolo l’ultima sera della stagione aveva detto per bocca della prima donna: «...el so Terenzio e el Tasso compatie le xe stade, ma no le ha fatto chiasso» (Ed. Pitteri, voi. IV, p. 347). E all’Arconati-Visconti in lettera del 5 aprile 1 755: «due [delle cinque commedie fatte in quella stagione] sono state accette assaissimo alle persone dotte, cioè il Terenzio ed il Tasso» (Spinelli, Fogli ecc., p. 34). La commedia, anche perchè gradita palestra agli attori nella parte di Torquato, era ancor viva sulle scene nel penultimo decennio del secolo scorso. Oggi non più. Erra chi afferma il contrario (J. Fdr. Carlo Goldoni. Moderne Kunst, XXI, vol. XII [1907]). La cronistoria dei nostri teatri ricorda recite del Torquato Tasso a Modena (Collegio dei Nobili) negli anni 1759 e 1768 (Gandini. Cronistoria dei Teatri di M. ecc. Mod., 1873, vol. II, pp. 196, 248). L’eseguirono nel 1766 a Bologna i dilettanti in casa Venenti (Ricci, I teatri di Bologna nei sec. XVII e XVIII. Bol., 1888, p. 487) con Francesco Bartoli, esordiente, nella parte di Don Gherardo (Cfr. Bartoli, Notizie de’ Comici Italiani, Padova, 1782, vol. I, p. 77). Del 1780 lo recitò al S. Sebastiano di Livorno il Corsini terminando la recita (le recite?) con la solita ottava (Rasi, I comici italiani, vol. I, p. 704). Negli anni 1822 e 1823 è sugli avvisi della Reale Sarda (Costetti, op. cit., p. 21). Il Platen sentì due volte il Tasso a Firenze nell’ottobre del 1826 e di nuovo al Capranica di Roma nel febbraio dell’anno seguente, eccellente interprete questa volta la Compagnia Taddei (Tagebücher. Stuttgart, 1900, vol. II, pp. 813, 823). Sempre nel 1827 al Teatro Re di Milano la compagnia del Duca di Modena, tra altre cose del Goldoni, eseguì anche il Tasso «cavallo di battaglia suol dirsi del signor Romagnoli» (I Teatri, 1827, I vol., I parte, pp. 435, 436). Altre recite ancora: l’anno sociale 1834-35 alla Filarmonico-drammatica di Trieste ([Hermet] Memorie ecc., Trieste, 1884, p. 26); nel 1839 al comunale di Cesena interprete, nel carnovale, la Compagnia di L. Carrani