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(protagonista Antonio Colomberti?) e nell’agosto la Compagnia Nardelli (Raggi, Il Teatro Com. di C., Cesena, 1 906, p. 36); nel 42 è nel repertorio della Comp. di Romualdo Mascherpa (Rasi, op. cit., vol. II, p. 110); nel 1857, e verisimilmente anche più tardi, l’ha nel suo Ernesto Rossi (Planiscig, Cenni cronistorici sul «Teatro di Società» di Gorizia. Gorizia, 1881, p. 81; De Gubernatis, Carlo Goldoni. Corso di lezioni, Firenze, 1911, p. 295); a Modena, al Teatro Aliprandi, si recita negli anni 1864, 1876, 1880 (Modena a C. G. 1907, pp. 242, 244). Notevole assai e fortunata ne fu la ripresa in Compagnia Pietriboni, tra il 1877 e 1881 «dopo lunga e ingiusta dimenticanza» (Galanti, C. G. e Venezia nel sec. XVIII, Padova, 1882, p. 239). Ne diresse lo studio Paolo Ferrari con grande valentia, ma senza rispetto assoluto al testo goldoniano (Rasi, op. cit., vol. II, p. 284, e da notizie private del Rasi stesso) e fu lodato interprete della parte principale Luigi Rasi. «Chi ha mai saputo darci meglio di lui gli impeti e gli sdegni di Torquato Tasso, quale l’ha fatto rivivere col suo meraviglioso intuito Carlo Goldoni?» (Illustrazione Italiana, 1910, marzo). Alla Scuola di Recitazione di Firenze la commedia si rappresentò tutta e a frammenti negli anni 1895, 1900, 1907. Tra gl’interpreti della parte principale rammentiamo ancora Alberto Ugolini che tenne col Lapy e col Medebac il ruolo d’innamorato, Ferdinando Meraviglia, Ercole Gallina (Rasi, op. cit., II, pp. 613, 123, 978), Tommaso ed Alessandro Salvini (De Gubernatis, op. e l. cit.). La parte di Tomio, il personaggio più simpatico e più vivo della commedia, fu scritta per il bravo Pietro Rosa successo a Francesco Rubini, Pantalone (Mantovani, op. cit., p. 209; Passato e presente. Corriere di Gorizia, 29 giugno 1893).

Poichè i rami delle edizioni Pasquali e Zatta mostrano i personaggi del Tasso in abito goldoniano, Luigi Rasi si chiede se ciò si debba al capriccio degli illustratori o se veramente così si recitasse. «Di sotto a quella parrucca bianca, e a quella lunga velada dalle spalle miserine e dalle maniche strette, e a quelle calze dai ricami a fiori e a quegli scarpini dalle fibbie d’argento, invece di un Tasso acciecato e torturato dalla passione, seccato dai contendenti, balzava una specie di Florindo disperato per amore, inseguito da quattro maschere? Chi sa dire!?» (Rasi, Marzocco, num. cit.).

Con poche altre cose goldoniane il Torquato Tasso figura nel Teatro classico italiano antico e moderno ovvero il Parnaso teatrale, pubblicato a Lipsia nel 1829 (pp. 447-470). Nella nota sua scelta l’accolse, traducendo al solito tutte le parti in lingua, a detrimento del buon senso e del buon gusto, il Montucci (op. e 1. cit., pp. 50-113). Anche tra le vicende men liete di questo lavoro del Nostro è da comprendere un inedito raffazzonamento in prosa di Francesco Rota, Udinese (Museo Correr, Raccolta Cicogna, n. 1 890; cfr. F. Toffano Due documenti goldoniani. Nuovo Archivio veneto, 1899, t. XVIII).

Deve il Torquato Tasso la sua notorietà in Germania e gli apprezzamenti spesso altezzosi onde fu bersagliato, all’omonimo dramma del Goethe. Ancora non è dato fissare quando e dove il poeta tedesco l’abbia conosciuto, ma ormai pure gli studiosi più ostici ad ammettere l’ignobile tresca clandestina del Giove ottimo massimo di Weimar col commediografo plebeo della Laguna, concedono affinità d’intelaiatura, di scene, di versi, che rendono persino verisimile la derivazione dell’idea prima dalla piccola fonte goldoniana. Non accenna