Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/224

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p. 230). Meglio, e con novità. Ercole Rivalta: «... Da altre finestre le massere si sporgono urlando, insolenti, prepotenti, con i pugni minacciosi... Nel G. l’ambiente popolare assume tutta la schiettezza della sua realtà... Quella magnifica dona Rosega, la più complessa e completa e quasi dimenticata figura di serva che forse esista nel teatro, non nel teatro del G. soltanto:» (C. G., dalla Nuova Antologia, 6 febbr. 1997, p. IO). — Benchè non veneziana, con intuito felice Maria Ortiz chiamò più d’una volta le Massere «un gioiello di commedia» (Rassegna goldon., in Giorn. stor. lett. it., vol. LII, 1908, p. 197; e 1. c. sopra). Un «capolavoro» parvero ad Anita Pagliari (La donna nella vita e nella comm. di C. G., in Vita femmin. italiana, Roma, apr. 1907). E già il modenese Carlo Borghi le ricordava nella schiera gloriosa delle commedie popolari, dove risplendono le Baruffe e i Rusteghi (Mem.ie sulla vita di C. G., Modena, 1859, cap. XI): dai quali capolavori poco lontano le collocò il triestino Giulio Caprin (C. G., Milano, 1907, p. 301). Al Gavi poi, quantunque ne riconoscesse l’arte e la piacevolezza, non parve di poterle segnare fra le ultime «nella prima sfera», bensì fra le prime «nella seconda» (Della Vita di C. G., Milano, 1826, pp. 166-7).

Per contro non potè gustarne il dialetto C. Rabany e non si curò di parlarne. C. Dejob afferma che «les Massere... ont moins de portée» del Festino: «d’abord les passions y sont étudiées d’une manière plus superficielle; puis Dorotea, qui inspire de la jalousie à Costanza, femme de Raimondo, n’a en réalité que le jeu en tête; mais les scènes où elle vient emprunter d’abord, rembourser ensuite de l’argent à Costanza sont intéressantes... Mais les traits les plus mordants se trouvent dans quelques paroles d’un domestique, qui procurent a Dorotea une humiliation méritee...» (Les femmes dans la comédie etc, Paris, 1899, pp. 261-3). Né sfuggì meno ad Ang. De Gubernatis l’efficacia di questa commedia, la quale dovette piacere ai contemporanei di G. per la sua " vivacità, non dissimile da quella dei Pettegolezzi d.d., delle Baruffe ch. ecc.» «... Essendo poi la commedia in versi, per la tenuità del chiacchericcio, e per la prolissità di alcune scene, arieggia pure alquanto le commedie, rusticana e popolare. La Tancia e La Fiera del Buonarroti; ma le Massere vanno prese come scene di vita popolare veneziana e di costumi meglio che come vera e propria commedia. È vita bassa, futile, meschina; il G. riesce, tuttavia, col suo brio, ad animarla...; ma le scene, le mascherate, gli equivoci si seguono, senza bene allacciarsi, il che rende la commedia un po’ vana e scucita; nè vale a darle maggior peso ed unità l’appicciaticcio del predicozzo messo al fine dell’ultima scena» (C. G., Firenze, 191 I, pp. 251-2).

Il Meneghezzi, che volle giudicare secondo i princìpi della morale, non ne restò soddisfatto: «... E quelle Massere mezzane, false, ladre, intriganti, che per le loro ribalderie non ottengono altro castigo che di essere licenziate dalle loro padrone e dai loro padroni, e tutti gli altri poco convenienti accessori di questa commedia, vorrem noi dire che presentino un lodevole scopo morale, fine principalissimo che aver debbe ogni teatrale produzione?» (Della Vita e delle opere di C. G., memorie di Ferd. Meneghezzi di Mantova, Milano, 1827, pp. 149 e 147). — Pochi anni dopo, uno scrittore francese ci fa tornare alla mente le critiche di C. Gozzi e del Baretti: «Au comique noble succèdent des intéréts et des personnages populaires, comma dans I Rusteghi