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350 ATTO PRIMO

particolare di diecimila scudi: questi gl’investo in un capitale in nome vostro, con condizione che i frutti vadano in aumento del capitale, fino che siete in grado di prender stato.

Costanza. Caro signor suocero, questa è una gran bontà che avete per il vostro sangue.

Lisetta. Mi fa piangere per tenerezza.

Isabella. E se io non avessi volontà di escir di casa, ho da perdere dunque?

Anselmo. Io questo caso... cara Isabellina, non voglio mica che perdiate il frutto dell’amor mio. In età di trent’anni, se non siete ancor collocata, lascierò che possiate disporre.

Isabella. Disporrà il signor nonno.

Anselmo. Eh, io non ci sarò più, figliuola.

Isabella. Signor sì che ci ha da essere.

Anselmo. Sono un pezzo in là, cara... Basta, non parliamo di malinconie; fino che vuole il cielo, e niente di più...

SCENA VI.

Fabrizio e detti.

Anselmo. Oh Fabrizio, figlio mio, siete qui eh?

Fabrizio. Perdonatemi, se sono uscito senza venirvi a riverire; parevami troppo presto.

Anselmo. Non me la fate più questa. Venite, se fosse di mezza notte.

Fabrizio. Favorite. (gli vuol baciar la mano)

Anselmo. Tenete. (gli dà la mano) (Ehi! la signora Costanza ha una cosa buona da darvi). (sottovoce)

Fabrizio. È egli vero? Che cosa ha di buono mia moglie da regalarmi?

Costanza. Un po’ di torta donatami da vostro padre.

Anselmo. Non ha avuto cuor di mangiarla senza di voi. (a Fabrizio)

Fabrizio. Vi ringrazio del buon amore. Mangiatela voi per me.

Costanza. Io no; è vostra.

Fabrizio. Datela a Isabellina.