Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/58

Da Wikisource.
52 ATTO TERZO
Lisaura. Chi sa ch’ei non ci faccia un generoso invito?

Questa mane, per dirla, sto bene d’appetito.
Gianfranco. Ed io non istò male.
Lisaura.   Dite, come vogliamo
Regolarci parlando? S’ha da dir chi noi siamo?
Gianfranco. Non so. Vediamo prima che faccia ha il Cavaliere.
Secondo ch’ei ci tratta, ei saprem contenere.
Sarem moglie e marito, se il caso lo permette.
Saprò, quando abbisogni, sognar le favolette.
Il cuor delle persone conosco a prima vista;
E chi l’umor seconda, il credito s’acquista.
Lisaura. Vien gente. Che sia questi della casa il padrone?
Gianfranco. Può essere. M’han detto ch’egli ha del bernardone.

SCENA II.

Fabio e detti.

Fabio. Chi è che ’l padron domanda?

Gianfranco.   Siamo noi, Eccellenza.
Lisaura. Siamo noi che bramiamo di fargli riverenza.
Fabio. Il titolo, figliuoli, indietro ritirate.
Io il padrone non sono.
Gianfranco.   No, signor? perdonate.
Cera avete per altro di nobile e cortese.
Siete voi cavaliere?
Lisaura.   Siete voi del paese?
Fabio. Amici, vi ho capito. Anch’io conosco il mondo;
Sono il mastro di casa del Cavalier Giocondo.
Gianfranco. Signor mastro di casa, la prego in cortesia...
Fabio. Ehi, chi è questa signora? (piano a Gianfranco)
Gianfranco.   È la consorte mia.
Fabio. (Consorte, che vuol dire compagna della sorte,
Non di quelle che debbono durar sino alla morte).
(da sè)