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IL RAGGIRATORE 119


conoscessero, non mi direbbono il signor Conte. Il conte Nestore sono io, il conte Nestore. Pasquale di messer Nibio diventato è il conte Nestore.

Spasimo. Signore, favorisca venire alluscio di strada, che vi è una femmina pazza, che non si può discacciare nè colle buone, né colle cattive.

Conte. Una pazza? Quali pazzie ha ella fatte?

Spasimo. Senta se questa è una delle leggiere. All’abito, alla figura, al modo suo di parlare, si vede una donna ordinaria; indovini chi si figura di essere?

Conte. Chi mai? qualche dama?

Spasimo. Sì, signore, una dama, ma qualche cosa di più.

Conte. Via, spicciati.

Spasimo. Dice di essere sorella di vossignoria illustrissima.

Conte. Mia sorella? Come si chiama costei?

Spasimo. Disse ella chiamarsi Carlotta.

Conte. (Povero me! sarà pur troppo colei). (da sè)

Spasimo. Comandi, che cosa vuol che si faccia?

Conte. Aspetta. (È una bestiaccia mia sorella. E venuta a precipitarmi). (da sè)

Spasimo. Ci vuol poco a cacciarla via costei. Sono venuto a dirglielo, perchè se mai sentisse a gridare...

Conte. Aspetta, ti dico. (Come diavolo ha saputo ch’io mi ritrovo in Cremona?) (da sè)

Spasimo. (Ci vedo dell’imbroglio nel mio padrone. La sarebbe bella, se fosse sua sorella davvero!) (da sè)

Conte. (Qui ci vuole un ripiego). Dimmi, vieni qui. Colei che dice essere mia sorella, è stata veduta da altri alla porta?

Spasimo. Non c’era nessuno, per buona fortuna.

Conte. Presto dunque, fa che passi, e conducila qui da me.

Spasimo. Ma come mai, signore...

Conte. Senti; ti voglio ammettere ad una confidenza che è importantissima.

Spasimo. Si fidi della pontualità mia.

Conte. E bada bene che, se tu parli, la tua vita è in pericolo.