Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/146

Da Wikisource.
140 ATTO SECONDO


Jacopina. L’avranno detto per burlarvi, come si dice, per esempio, bravo ad un asino.

Arlecchino. L’aseno el gh’ave sempre in bocca.

Jacopina. Non me lo ricordo mai, se non quando vi vedo.

Arlecchino. Acciò che el podè veder maggio, un’altra volta vol vegnir con un specchio.

Jacopina. Bricconaccio! credete che non vi capisca? Specchiatevi in una galera, che vedrete il vostro ritratto.

Arlecchino. Giacomina, non andar in collera.

Jacopina. Se verrete più voi in questa casa, me n’anderò io.

Arlecchino. Via, femo pase.

Jacopina. Con voi non voglio aver che fare.

Arlecchino. Anca sì, che femo pase?

Jacopina. Oh, non vi è pericolo.

Arlecchino. Ghe scometto un scudo, che femo pase.

Jacopina. Mi vien da ridere, quando dite di giuocare uno scudo. Se non avete un quattrino!

Arlecchino. Mi no gh’ho bezzi? Come se chiamelo questo? (mostra lo scudo)

Jacopina. Si chiama scudo. Dove l’avete avuto?

Arlecchino. Oe, digo, ve piaselo adesso sto grugno? (s’attacca lo scudo alla fronte)

Jacopina. Ora mi piace; ora vi si può dir veramente Arlecchino Visobello.

Arlecchino. Ghe zogo sto scudo, che tra vu e mi femo pase.

Jacopina. Come intendete voi di giuocare lo scudo? Se si fa la pace, ho da dare uno scudo a voi?

Arlecchino. La scomessa la doverave esser cussì.

Jacopina. Non la facciamo in eterno.

Arlecchino. Femo donca in st’altra maniera. Scometto sto scudo che tra vu e mi no se fa più pase.

Jacopina. Io posso giuocare che si farà.

Arlecchino. Va un scudo.

Jacopina. Depositatelo nelle mie mani.

Arlecchino. E vu cossa metteu su per scomessa?