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IL RAGGIRATORE 145


Arlecchino. (Xe meggio che me la batta). (da sè) Patrone, con so bona grazia. (in atto di partire)

Claudia. Trattenetevi, che vi ho da parlare.

Metilde. Signora...

Claudia. Che cosa vorreste?

Metilde. L’astuccio.

Claudia. Sta bene nelle mie mani.

Metilde. E io niente?

Claudia. Qualche cosa avrete anche voi.

Metilde. La scatola forse?

Claudia. Una mano nel viso.

Metilde. Di queste finezze me ne ha fatte abbastanza la signora madre.

Claudia. Posso farvene delle altre ancora. (con finta placidezza)

Metilde. Sono un poco grandetta, ora. (scherzosamente)

Claudia. A misura dell’età, può crescere il peso degli schiaffi. (come sopra)

Metilde. Mi consolo di una cosa.

Claudia. Di che?

Metilde. Che gli anni crescono per tutti, che gli schiaffi della signora madre non dovrebbono più avere tanta forza.

Claudia. Sfacciata, insolente! Credi tu, perchè ti vedi crescere come fa la mal’erba, ch’io abbia perduto la forza, lo spirito e la gioventù? La tua temerità ti può far credere di trent’anni, ma non ne hai che sedici; ed io di quattordici ho preso marito. E una donna di trent’anni vale qualche cosa di più di una fraschetta di sedici; e queste mani ti possono far provare, se per l’età ho perduto la forza... (s’avanza minacciandola)

Metilde. La non s’incomodi, che ne son persuasa. (fugge via)

SCENA IV.

Donna Claudia ed Arlecchino.

Arlecchino. (Sta scena me l’ho godesta da galantomo. Adesso ghe ne aspetto un’altra). (da sè)

Claudia. Che cosa fate qui voi? (ad Arlecchino) l