Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/164

Da Wikisource.
158 ATTO SECONDO


Conte. Son qui per ascoltarvi, signora.

Claudia. Voglio prima ringraziarvi delle vostre finezze...

Conte. Risparmiatemi i complimenti. Avete ricevuto l’astuccio?

Claudia. Sì, ma per accidente.

Conte. Come per accidente?

Claudia. Lo trovai di Metilde in mano.

Conte. (Quel briccone di Arlecchino! ) (da sè)

Claudia. E vorrei sentire dalla vostra sincerità il principio di questa cosa che non intendo.

Conte. (Conviene indovinare, per accomodarla se fia possibile). (da sè) Io so certo, che mi son preso l’ardire d’inviarvi per Arlecchino un astuccio.

Claudia. E non altro?

Conte. E una scatola ancora.

Claudia. La scatola me l’ha recata.

Conte. (Questa l’ho indovinata). (da sè)

Claudia. Ma l’astuccio era in mano della figliuola.

Conte. Chi sa che diamine possa aver fatto colui? È uno sciocco da non valersene. Pure me ne vaglio, perchè ha l’accesso libero in casa vostra; ed è poi anche fedele, ma delle castronerie me ne ha fatte ancora. L’ho veduto ritornare da me pallido e confuso. Dubitai quasi, che qualche cosa avesse perduta.

Claudia. Dissemi appunto, che l’avea perduto l’astuccio.

Conte. Ecco, la cosa è così. Egli l’avrà perduto, e la figliuola L’averà ritrovato.

Claudia. Questo ancora può darsi.

Conte. Ora l’avete voi l’astuccio?

Claudia. L’ho io.

Conte. La scatola ancora?

Claudia. Ancora.

Conte. Ho piacere. (Come l’aggiusterò con donna Metilde?) (da sè)

Claudia. Vi ringrazio dunque....

Conte. Non parliamo altro. Vi supplico d’aggradire.