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186 ATTO TERZO


Claudia. Ah! non so che dire, Conte, compatitemi. Alfin son donna, e non vi dico di più. (parte)

Conte. Ora vedesi chiaramente, che la miseria avvilisce gli altieri, che l’ambizione può più dell’amore, e che una testa come la mia sa fabbricar da se stessa la sua fortuna. (parte)

SCENA XIII.

La Jacopina ed Arlecchino.

Jacopina. Che mi andate voi dicendo di questo vecchio?

Arlecchino. Ve digo che la xe la più bella cossa del mondo. L’è arriva in Cremona el padre del conte Nestore.

Jacopina. Che importa a me del padre del conte Nestore?

Arlecchino. V’importerà co lo vedere, perchè l’ha da esser una bella scena.

Jacopina. È un cavaliere di garbo?

Arlecchino. E come!

Jacopina. Si vede che sia veramente di quella nobiltà che conta il di lui figliuolo?

Arlecchino. Anzi, a vardarlo, se ghe cognosse in lu una nobiltà strepitosa.

Jacopina. Ricco?

Arlecchino. Ricchissimo.

Jacopina. Vestito bene?

Arlecchino. Magnificamente.

Jacopina. E dove si trova?

Arlecchino. L’è qua, che el vorave veder i so do fioli.

Jacopina. Lo sanno eglino ch’ei sia arrivato?

Arlecchino. No i lo sa gnancora. El ghe vol comparir all’improvviso. Per far che la burla sia più bella, lo podè condur co i xe a tola.

Jacopina. Fatelo venire innanzi, che ho curiosità di vederlo.

Arlecchino. Vederè el fior della nobiltà.

Jacopina. Mi metterà in soggezione.

Arlecchino. Gnente, el xe un agneletto. La favorissa, patron, la vegna avanti.