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192 ATTO TERZO


Claudia. Che dice?

Conte. (Son perduto). (da sè) Sarà un pazzo costui, non gli badate, signori.

Nibio. Hai tanto ardir, temerario, di dir pazzo a tuo padre?

Carlotta. Mi meraviglio di voi, fratello, che strapazzate così nostro padre. Sì signore, egli è messer Nibio, io sono Carlotta sua figlia, e il conte Nestore è Pasquale suo figlio.

Eraclio. Ercole, Ercole, dove sei?

Conte. (Ah, che ad un colpo simile non so resistere. La natura tradisce la consueta mia intrepidezza; sento avvilirmi. Arrossisco in faccia di chi mi vede). (da sè) Signori... io sono... Mi meraviglio di chi non crede... Ora ora... Vi farò conoscere chi sono. (parte)

Eraclio. Sangue degli Eraclidi assassinato!

Nibio. E tu, tristarella che sei, abbandonasti questo povero vecchio padre, per seguire il pazzo di tuo fratello? Torna meco; deponi quegli abiti che ti stanno d’intorno; e vieni a riprendere la tua rocca, il tuo aratro, e la servitù di tuo padre.

Carlotta. Signori, la contessa Carlotta vi fa umilissima riverenza, e in ricompensa del desinare che le avete dato, vi invita in campagna, a mangiare un piatto di ravanelli. (parte)

Eraclio. Ercole, Ercole, dove sei?

SCENA ULTIMA.

Arlecchino e detti.

Arlecchino. Ercole fa umilissima riverenza a lor signori, e el ghe fa saver, che sior Conte bona testa in sto ponto l’ha trovà el cavallo del conte Nibio so padre, el gh’ha montà suso; l’è andà fora della porta della città, el va via de galoppo per paura de esser fermà.

Nibio. Povero me! il temerario mi fugge; ma lo raggiungerò da per tutto, e almeno avrò ricuperato la figlia. Signori, compatite un pazzo; ma da quello che intesi dire di voi, prima d’entrar qui dentro, credo che siate pazzi voi pure, niente meno di lui.