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234 ATTO SECONDO
Livia. Può darsi che taluno di me fosse invaghito;

Ma dopo brevi giorni vedrebbesi pentito.
Sono una giovin strana, se nol sapete, e tanto
Pretendo dagli amanti, che li riduco al pianto.
Rinaldo. Tutto soffrir si puote, quando passione ardente
Sforza e violenta un cuore.
Livia.   Questo non è niente.
Verrà l’amante afflitto a chiedermi perdono;
Gli negherò crudele fin della destra il dono.
E quando piange e freme, e suol giurar ch’è fido,
Godo de’ suoi deliri, e del suo pianto io rido.
Rinaldo. (Parla per me l’ingrata. Il suo rigor confessa), (da sè)
Properzio. È amabile il ritratto che fate di voi stessa.
Medoro. Amare ad un tal patto? Nemmeno una regina.
Rinaldo. (E pur quest’è l’amore che il fato a me destina), (da sè)
Livia. Non ho però fissato d’esser così mai sempre:
Cangiandosi gli oggetti, amor può cangiar tempre.
Chi sa ch’io non ritrovi tal aria e tal sembiante,
Che delirar non facciami nel divenir amante?
Medoro. S’io mi mettessi al punto!
Properzio.   Se mi provassi anch’io!
Livia. Uditemi: voi siete fatti sul taglio mio.
La franchezza mi piace.
Rinaldo.   (Troppo soffrir m’impegno).
(da sè)
Livia. Don Rinaldo, che dite?
Rinaldo.   Ammiro il bell’ingegno.
Properzio. Per me con una donna non vorrei far da schiavo;
L’uomo servir non deve, ma comandarle.
Livia.   Bravo.
Medoro. Quando una donna è cruda, quando l’amante è schiva,
Lasciola, e con un’altra cerco rifarmi.
Livia.   Evviva.
Rinaldo. Se donna Livia applaude a’ bei concetti e nuovi.
Chi la soddisfi e apprendali, esser può che si trovi.