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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/34

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28 ATTO PRIMO


Lavinia. No, no. Servitevi pure. Non v’incomodate di ritornare.

Ciccio. Siete in collera? Faremo pace: con voi non voglio collera. So che avete un piatto di funghi preziosi. Ne voglio anch’io la mia parte.

Lavinia. No, signor don Ciccio: non vi prendete tanta libertà in casa mia.

Ciccio. Ho inteso. Bisogna lasciarvi stare per ora. Andiamo a giocare. (a don Riminaldo)

Riminaldo. Ma avvertite, che sulla parola non gioco.

Ciccio. Giocheremo danari.

Riminaldo. Mi diceste poco fa non aver altro che dieci soldi.

Ciccio. Guadagnatemi questi, e poi qualche cosa sarà.

Riminaldo. Un’altra volta, signor don Ciccio. Non voglio disgustare donna Lavinia. Ella ha piacere che non si giochi, ed io, per obbedirla, non gioco. (parte)

Lavinia. Caro signor don Ciccio, risparmiateli quei dieci soldi. Siamo fra voi e me, che nessuno ci sente. Voi non ne avete da gettar via.

Ciccio. Se non ne ho da buttar via, non verrò da voi per un pane.

Lavinia. Lo so che non avete bisogno nè di me, ne di alcuno. Lo avete detto per ischerzo di voler venire a desinare da noi. Non sarebbe decoro vostro venir in un luogo, dove vi fanno le male grazie.

Ciccio. Eh, so che si scherza; so che mi vedono volentieri. Ci verrò per i funghi che mi piacciono, perchè la mia cuoca non li sa cucinare. E poi, che serve? Con don Gasparo siamo amici. Amico del marito, servitor della moglie; vengo qui di buon cuore, come se venissi da miei parenti. Ma che dico da miei parenti? Ho tanto amore per questa casa, che ci vengo come se venissi a casa mia propria. (parte)

SCENA IV.

Donna Lavinia, poi Zerbino.

Lavinia. Veramente è una gran finezza che ci vuol fare. Don Ciccio è un di quei poveri superbi, che credono di onorare la casa, quando vengono a mangiare il nostro. Gran cosa! che