Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/432

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424 ATTO SOLO


Fernando. Questa che voi mi date, è una bella consolazione. Pazienza.... Compatitemi....

Cavaliere. Pare che sia innamorato di voi. (a donna Eugenia)

Conte. Non sarebbe fuor di proposito.

Eugenia. Non è possibile. Egli era troppo amico di mio marito.

Cavaliere. Anzi per questo; può credere un effetto di buona amicizia il consolar la vedova dell’amico.

Fernando. Mi maraviglio di voi. (adirato)

Cavaliere. Non andate in collera.

Fernando. Servo di lor signori. (vuol partire)

SCENA ULTIMA.

Don Ambrogio, un Procuratore e detti.

Ambrogio. Dove si va, don Fernando? (incontrandolo)

Fernando. A Mantova.

Ambrogio. Senza la sposa?

Eugenia. Lodereste voi che si maritasse? (a don Ambrogio)

Ambrogio. Sì certo; ed è quegli che per vostro bene vi conviene accettare in isposo.

Fernando. Non mi vuole, signore.

Ambrogio. Non vi vuole? Nuora mia, voi non lo conoscete. Altro merito ha egli, che non hanno questi due signori garbati. Lascio da parte la nobiltà e la ricchezza, che non vo’ svegliare puntigli, ma egli vi ama da vero; ed una prova grande dell’amor suo, a differenza degli altri, è che egli domanda voi, e non ha ancora parlato di dote.

Eugenia. Ora conosco il merito, che in lui vi pare merito trascendente. Io della roba mia son padrona, e quel rispetto che ho usato finora al padre del mio defunto consorte, non lo merita la vostra ingiustizia, non lo speri più la vostra avarizia.

Ambrogio. Signor Dottore, la scritta che doveva farsi non si fa più, ma ponete in ordine quel che occorre per difendere le povere mie sostanze. Donna Eugenia, dopo d’aver consumata