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486 ATTO TERZO
Bianca.   E senza fondamento. (ironica)

Conte. Eccoci qui da capo col solito tormento.
Bianca. Povera me! (piange)
Conte.   Piangete?
Bianca.   Almen, se mi tradite,
Lo sfogo delle lagrime, crudel! non m’impedite.
Non vi è tiranno al mondo, legge non vi è si dura,
Che vietare ardisca gli effetti di natura.
So che non dovrei piangere, so che sfuggir dovrei
Un barbaro, che gode tradir gli affetti miei;
Ma sia l’inutil sdegno, sia debolezza o amore,
Le lagrime non posso racchiudere nel cuore.
Tutto quel che far posso, in segno di rispetto,
Si è togliervi dagli occhi un odioso oggetto;
Perchè dal pianto mio non siate tormentato,
Andrò da voi lontana ad isfogarmi, ingrato! (parte)

SCENA X.

Il Conte solo.

Venga l’intrepidezza a confortarmi adesso.

Povera donna Bianca! Ho rossor di me stesso.
Che cerchi, che procuri il mio piacer, sta bene.
Ma non coll’altrui pianto, ma non coll’altrui pene.
Il titolo di barbaro, il titolo d’ingrato,
Esaminiam noi stessi, cuor mio, l’hai meritato?
Di quante donne al mondo, di quante donne amai,
Di questa la più tenera, lo so che non trovai.
Merita ben, che ad essa sagrifichi l’amore...
Ah, dovrò finalmente sagrificarle il cuore?
Il cuor che sì geloso serbai per me finora,
Cedere ad una donna? No, non lo cedo ancora.
Dubbio mi resta in seno, che il pianto, che i sospiri
Sien arti, sien lusinghe, sian sogni, sian deliri.
E se ciò fosse, e un giorno tardi a pentir m’avessi?