Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/498

Da Wikisource.
490 ATTO QUARTO
Ma temo che mi siano fatti gl’insulti e l’onte,

Dacchè si è in casa vostra intruso il signor Conte.
Commissario. Non dico che per lui voi siate il malveduto,
Ma dirvi la ragione deggio, perchè è venuto.
Martini. Lo so, lo so il pretesto. Per esser confermato
Nel posto dal Marchese, a cui foste accusato.
Buono per tali uffizi me voi non giudicate?
Sapete ch’io riscuoto di lui tutte le entrate.
Sapete che del feudo ho in man tutto il maneggio.
Commissario. Amico, tutto questo lo so; ma so di peggio,
E per ben vi avvertisco. Sentito ho a mormorare,
Che vogliavi il Marchese dal feudo licenziare.
Martini. Perchè?
Commissario.   Perchè voi pure siete da gente trista
In faccia del padrone messo in pessima vista.
Martini. Che ponno dir?
Commissario.   Si dice... compatitemi, amico,
Non credo che sia vero; ma quel che sento, io dico.
Si dice che il contratto, che feste col Marchese,
Gli ruba almeno almeno un terzo del paese,
E che per tal ragione sia nullo l’istrumento.
Martini. Gli si potrebbe fare un qualche accrescimento.
So di non esser reo, potrei giustificarmi:
Ma cosa più espedita saria l’accomodarmi.
Commissario. Trovate un qualche mezzo.
Martini.   Di chi potrei servirmi?
Se il Conte vostro amico volesse favorirmi.
Commissario. Oh, io non gliene parlo, e poco non sarà,
Se appresso del Marchese per me s’impiegherà.
Martini. Se madama volesse...
Commissario.   Ha da pensar per lei.
Martini. Cento doppie di Spagna sagrificar vorrei.
Commissario. Sol perchè gli parlasse?
Martini.   Oh no, non son sì matto;
Cento doppie darei, sì, ma a negozio fatto.