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516 ATTO QUINTO
Marchese.   Don Mauro, forse sarà creduto,

Che ad arte in casa vostra sia per amor venuto.
Ma non è ver, signore, lo giuro e lo protesto.
Nè dee, nè può mentire un cavaliere onesto.
Venni sol per punire due tristi scellerati;
Fuggir, ma saran presi, condotti e castigati.
Trovai qui la Marchesa, che in patria ho conosciuta.
Mesta, di duol ripiena, senza parlar seduta.
Pietà destommi in seno l’afflitta vedovella.
In età fresca ancora, nobile, ricca e bella.
Formo un discorso a caso, il dialogo s’avanza,
S’inoltran le parole, mi tenta una speranza.
Alfln, che più volete? S’accorda in sul momento,
Ella di ciò mi onora. Io son di ciò contento.
Mauro. E poi dicon ch’io parlo confuso... Sì signore.
Se ho inteso che dir voglia, mi venga il mal di core.
Presto, signor notaro, signor dottore, presto.
Notaro. Ho steso l’occorrente, in casa farò il resto.
Dian pur, quando comandano, la mano in mia presenza.
Mauro. Marchesa... sì signore... a voi la preferenza.
Marchesa. Per compimento accetto la grazia generosa:
Questi è lo sposo mio. (dà la mano al Marchese)
Marchese.   E questa è la mia sposa.
(dà la mano alla Marchesa)
Mauro. Toh... toh... che cosa è questa?... Scherzate, sì signore?
Non siete... voi... mia sposa? (alla Marchesa)
Marchesa.   Vostra? siete in errore.
Finora si è parlato di me con il Marchese.
Mauro. E il signor veneziano... che disse?... di che intese?
Alberto. Anca mi ho sempre inteso de quei che s’ha sposà.
Mauro. E voi? (al Conte)
Conte.   Anch’io di loro.
Mauro.   Oh bella in verità!
Marchese. Signor, resto sorpreso.
Mauro.   Anch’io son stupefatto.