Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XIV.djvu/156

Da Wikisource.
150 ATTO QUARTO
Filippino.   Don Pippo un certo che

Disse, ch’io non capisco, del Libro del perchè;
Poi, che verrà, soggiunse l’ingegno peregrino,
Parlando non so bene se greco, o se latino.
Berenice. Bene bene, ch’ei venga; un dì mi comprometto
Di moderargli almeno un simile difetto.
Ed egli, frequentando la mia conversazione,
Di farsi men ridicolo mi avrà l’obbligazione.
Di persuader col tempo parmi di avere il dono.
E don Lucio che disse?
Filippino.   Oh, adesso viene il buono.
Il capo dimenando, battendo in terra il piede,
Disse: la tua padrona da lei più non mi vede.
Aspetto sulla piazza quei cavalieri arditi;
Vo’ battermi con tutti, vo’ che ne sian pentiti.
Che donna Berenice tralasci di cercarmi;
Dille che non ardisca nemmen di nominarmi;
Che un cavalier mio pari così non si strapazza:
E unir fece gridando i circoli di piazza.
Chi lo credea in duello, chi lo credea un insano,
E chi credea che il balsamo vendesse un ciarlatano.
Berenice. Non vuol venir?
Filippino.   No certo. L’ha detto e l’ha ridetto.
Berenice. Lo voglio a tutta forza, lo voglio a suo dispetto.
Gli scriverò una lettera. So quel che far conviene.
Filippino. Non ci verrà, signora.
Berenice.   E che sì, che ci viene?
Vo a stender quattro righe, scritte alla mia maniera.
Se lo ritrovi in piazza, l’aspetto innanzi sera. (parte)

SCENA II.

Filippino solo.

E una gran presunzione che la padrona ha in testa.

La stimo una gran donna, se mi fa veder questa.
Chi sa? non vorrei poi scommetter nè anche un pavolo.