Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XIV.djvu/237

Da Wikisource.

LA PUPILLA 229
Panfilo.   Non è dunque pubblico

Di chi figliuola è Caterina? Inutile
È il sospettar ch’ella d’altrui sia genita,
Se padre e madre a tutto il mondo ha cogniti.
Io qui nutrito dall’età più tenera,
Non conobbi mio padre, e a ragion dubito,
Che in messer Luca di mia madre celisi
O il marito, o l’amante.
Placida.   E un cotal dubbio
Non ti avvedi che oltraggia la memoria
Della tua genitrice?
Panfilo.   E non potrebbesi
Dar che in segreto per sua moglie avessela
Presa messere?
Placida.   Perchè poi nascondere
Sì crudelmente un figliuol suo legittimo?
Panfilo. Forse per occultar l’affetto debole
Che a nozze disuguali il fe’ discendere.
Placida. Ma non ebb’ei quel figlio, di cui parlasi,
Dalla mogliera che morio sgravandosi
Di cotal parto?
Panfilo.   E non morì allor subito
Il parto istesso? Anzi con ciò si accredita
Il mio giusto sospetto. Non si allattano,
Placida, i morti; e se allattò la balia
Di messer Luca bello e vivo un bambolo,
Di’ ciò che vuoi, fuori di me non veggolo.
Placida. Tante ne dici, e così ben le accomodi,
Che anch’io principio a darti fede, e priegoti
Dal ciel, che il vero in tuo favor discoprasi.
Panfilo. Me lo dici di cor?
Placida.   Sì, caro Panfilo.
Anzi, per dirti il vero, or mi mortifico
Per la data parola; e tornar libera
Se mai potessi, e con Orazio sciogliere