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LA PUPILLA 233
Del tutor suo, come da voi si assevera,

Venga ella innanzi, ed io la sposo subito;
Se aspettar mi convien, conosco il debito
Nè giova che vogliate, per far celia,
Mettermi al punto, e farmi correr risico
D’inimicarmi col tutor ch’io venero
Qual padre della sposa, e qual mio suocero.
Placida. Adagio un poco, signor mio bellissimo,
Che a quel ch’i’ veggo, no’ prendiamo i pifferi
Per le tiorbe. Chi veniste a chiedere
Per isposa al padrone?
Orazio.   Evvi ancor dubbio?
Non si sa ch’io sospiro e ch’io desidero
Caterina in isposa, e che promisela
A me il tutor?
Placida.   Gnaffe, siam bene in ordine!
Che v’intendeste allotta ch’io parlavavi
Questa mane, meschiando ai franchi i timidi
Sensi dubbiosi?
Orazio.   Di parlare intesimi
Della mia Caterina.
Placida.   (Oh il brutto equivoco!
Ma il padron parlò schietto, e ben ricordomi
Quel che mi disse). O voi siete uno stolido,
Messer Orazio, o il vostro cuor volubile
Cangiasi presto.
Orazio.   A me cotal rimprovero?
Placida. A voi, sì, a voi, che questa mane a chiedere
Me veniste in isposa, ed al medesimo
Padron lo dite, ed or mi fate il nescio,
E con un’altra far volete il cambio.
Ma non vi riuscirà, che i galantuomini
Alle promesse derogar non possono,
Ed il padron mi farà far giustizia.