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Goldoni avesse potuto recare in scena zentilomeni veneziani nel loro ambiente e col loro linguaggio. O non li conosceva egli assai bene i suoi padroni, e il comune linguaggio non attenuava immensamente il distacco da classe a classe?

Ma pur scrivendo in lingua, anche perchè soccorso dai martelliani che alle scene di galanteria del suo teatro danno spesso quel garbo e quella vivacità che in prosa hanno di rado, il Goldoni seppe conferire ai personaggi e al dialogo del Cavaliere di spirito una grazia che oggi ancora s’ammira: «Vi è in questo C. d. s. — osserva Domenico Lanza — ancora tutta una grazia saporita di intreccio e di dialogo, un garbo, uno scintillio di spirito e di comicità, un movimento di toni e di motivi, di piccole situazioni, che fan pensare a qualcuno di quegli eleganti proverbi che un secolo dopo fiorivano pieni di modernità e di brio sulla nostra scena. In poche altre sue opere il Goldoni par meno lontano da noi che in questa sua vivace e comica commediola, cui egli forse non assegnava grande importanza, ed è priva di ogni preoccupazione di generi e di scuola» (La Stampa, Torino, 11 marzo 1912).

Con la Donna bizzarra, l’Apatista e l’Osteria della posta questo Cavaliere forma un gruppo di quattro commedie (voi. X dell’ediz. Pitteri) che il Goldoni compose per il teatro privato del marchese Francesco Albergati Capacelli (cfr. la Nota alla Serva amorosa, Vol. VIII, pp. 307, 308). Dell’Albergati filodrammatico, che a sfogo della sua grande passione per il teatro, avea cominciato dal recitare a soggetto e più tardi, meglio ispirato, accolse con entusiasmo la riforma goldoniana, il Masi scrive: «La gentilezza e varietà della sua cultura ed il genio naturale facevano però dell’Albergati qualcosa più di un attor comico dilettante. In un tempo, che l’arte della scena era caduta così basso, egli era considerato come vero attore e riformatore dell’arte di recitare con intelligenza, con naturalezza e con dignità» (La vita, i tempi, gli amici di F. A., Bologna, 1888, p. 117). Il teatro di casa Albergati ebbe grandissima fama. «In Bologna — narra Antonio Longo nelle sue Memorie — si formò epoca di tali spettacoli, tanto che in seguito ho sentito io medesimo a numerare gli anni, come si faceva dell’Olimpiadi, delle rivoluzioni o d’altra cosa notabile, con l’espressione: dalle gran recite Albergati sino al tal tempo» (Venezia, 1820, voi. II, p. 7). Il teatrino nel palazzo di Zola Predosa (oggi Villa Calcagno), ch’ebbe il vanto di primizie goldoniane, fu ideato da Luigi Albergati, padre di Francesco, costruito dal macchinista Giuliano Parisini e le scene «di buon effetto» vennero dipinte da Francesco Orlandi, bolognese (Descrizione del Palazzo della Famiglia Albergati Capacelli situato nella Villa detta Zola Predosa, Bologna. 1837, p. 25).

I diligenti diaristi bolognesi ricordano una sola recita del Cavaliere in casa Albergati il 12 agosto 1764. «Fu l’ultima sera che si recitò nel teatro del palazzo del senatore Albergati a Zola, con un gran concorso di gente d’ogni condizione. V’erano più di 200 carrozze, fecero fuochi di gioia. Si recitarono un’opera o sia tragedia detta Cinna ed una commedia del Goldoni detta Il Cavaliere di spirito e la Farsetta. Dopo si faceva festa da ballo, e si giocava il biribisso. Recitava il senatore Albergati con giovani dilettanti» (Ricci, I teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII. Bologna, 1888, p. 485). Un’altra recita a Bologna l’anno 1766 in casa Venenti è ricordata da Francesco Bartoli, che, dilettante allora, vi eseguì la parte di Don Claudio (Notizie istoriche de’ comici