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380 ATTO SECONDO
Placida.   Non vi parlai finora

Della germana mia?
Sigismondo.   È vero, sì, signora.
Perdonate, vi prego; a un mio fattor briccone
Pensava, ed ho patito un pò di distrazione.
Sento quel che mi dite, ammiro i pregi suoi.
Basta, perchè sia bella, che si assomigli a voi;
Che abbia qual voi negli occhi quel certo non so che...
Placida. Se vedeste Luigia! quanto è miglior di me!
Sigismondo. Per dirla, è molto raro sentir che una sorella
Sostenga che sia l’altra più amabile e più bella.
Se fosser centomila, voi le porreste in sacco.
Orsù, parliamo d’altro; prendete del tabacco.
(le offre tabacco)
Placida. Ma, signor, non ne prendo.
Sigismondo.   Eh sì, me ne ricordo.
Diceste qualche volta; lo so, non son balordo.
Una presa, una presa. (seguila ad offerirle tabacco)
Placida.   Lo fo per obbedirvi.
Sigismondo. Volete che giochiamo? volete divertivi?
Placida. Qui sono ancor di fresco. Ancor non mi è permesso
Di far conversazione.
Sigismondo.   Ah, mi pareva adesso (si alza)
Fosser quei giorni istessi, ne’ quali a voi vicino
In casa dell’amico sedeami al tavolino.
È ver ch’era don Claudio fastidiosetto un poco:
Non intendea ragione, quando perdeva al gioco.
Eh! lasciò qualche debito.... io sicurtà gli fui....
(Ancor ducento scudi ho da pagar per lui).
(da s’è, distraendosi)
Placida. Ecco la mia germana. Chiamiamola? che dite?
Sigismondo. L’averò per finezza.
Placida.   Luigia, favorite.