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426 ATTO QUINTO
Placida. (Non sa partir l’ingrato). (guardandolo sott’occhio)

Fausto.   (Parmi che in cuor patisca).
(da sè, guatandola)
Placida. (Non me lo tolga amore). (da sè, con passione)
Fausto.   (Amor l’intenerisca).
(da sè, con passione)
Placida. Sì lento si va incontro a un dolce amor che invita?
(a don Fausto)
Fausto. Eccomi ad incontrare quel ben che amor mi addita.
(s’alza impetuosamente, e corre da donna Placida)
Placida. Amor non è più meco; è in sen della germana.
Fausto. Quanto a ingannare è pronta una lusinga insana!
(si scosta)
Placida. Via, perchè non correte a porgerle la destra?
Fausto. Siete voi, donna Placida, d’infedeltà maestra?
Placida. Sì, son io che v’insegna a superar del cuore
Gli stimoli importuni, l’inutile rossore.
Fausto. L’insegnamento è dubbio, l’eseguirò allor quando
Voi me lo comandiate.
Placida.   Andate, io vel comando.
Fausto. Deggio obbedir la legge. (si allontana a poco a poco)
Placida.   (Mi lascia il traditore).
(da sè)
Fausto. Vuol obbedirvi il piede, ma nol consente il core.
(volgendosi a lei, e ponendosi smaniosamente a sedere)
Placida. (Ah no, mi ama davvero). (da sè, guardandolo un poco)
Fausto.   (Par che sereni il ciglio).
(da sè, guardandola)
Placida. (Ah, che pur troppo io vedo la libertà in periglio).
(da sè)
Fausto. Chi mai di donna Placida, chi mai l’avria creduto,
Che ad altri mi cedesse? (in maniera di farsi sentire)
Placida.   Come? v’ho io ceduto?
(alzandosi verso di lui)
Fausto. Non è ver? (alzandosi, ma fermo al suo posto)