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486 ATTO SECONDO


Placida. Ma qual ragion vi può essere ch’io debbami per l’appunto accendere più di voi, che di un altro?

Ferramondo. Sono indegno d’amore.

Placida. Anzi voi ne siete degnissimo. Voi meritate amore, stima e rispetto, ma il cuore delle donne sapete già come è fatto, s’accende talora in un momento, all’improvviso, senza pensarvi. S’io avessi a scegliere un amante, non sceglierei certamente altro che voi; ma temo di me medesima, e posso ancora innamorarmi di un altro.

Ferramondo. Io non sarei capace d’innamorarvi?

Placida. Chi sa? potrebbe darsi.

Ferramondo. Per me, vi sentite niente pungere il cuore?

Placida. Non mi pare per ora.

Ferramondo. Quando son lontano, provate alcuna pena per la mia lontananza?

Placida. Quando siete lontano, per verità, non mi par di penare.

Ferramondo. Quando restai ferito nell’ultima battaglia, piangeste niente per il mio pericolo?

Placida. Io non mi ricordo d’aver mai pianto.

Ferramondo. Dunque voi non mi amaste finora.

Placida. Faceva anch’io la stessa considerazione.

Ferramondo. E in avvenire, che cosa poss’io sperare?

Placida. L’avvenire non lo sappiamo, nè voi, nè io.

Ferramondo. Come poss’io cercare di meritarmi l’affetto vostro?

Placida. Dirvelo a me non tocca, signore.

Ferramondo. Non basta che io vi consacri in dono tutto il mio cuore, tutti gli affetti miei, e la mia vita medesima?

Placida. Tanto bastar dovrebbe, ma accesa ancora non sono.

Ferramondo. Piacevi di essere vagheggiata? Piacevi di essere servita? Volete voi che l’amante non vi si stacchi dal fianco?

Placida. Oh no signore, se fossi anche innamorata, una simile assiduità mi annoierebbe infinitamente.

Ferramondo. Deggio comparirvi dinanzi in aria mesta, dolorosa e piangente?