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di quanto si chiama bel mondo, non apparisca piuttosto un passivo effetto della picciolezza del loro animo!» Il lungo sproloquio si chiude col consiglio che le compagnie italiane si dedichino con più frequenza alle molte «eccellenti commedie degli odierni autori drammatici della Francia» (1 dicembre 1827, p. 573 e segg.).

Mezzo secolo dopo la critica teatrale non sogna di togliere alla berlina del palcoscenico i viziosi di troppo bassa estrazione. Raffaello Giovagnoli non si penta di elogiare «l’astuta, interessata e malvagia Valentina... vera incarnazione delle lusinghe, delle arti, degli intrighi che le cameriere giovani usarono, usano ed useranno sempre ai padroni vecchi» e di ammirare non meno «lo stupendo carattere di Baldissera, eterno tipo del cialtrone che ozia e gavazza sui simulati amori per la serva, alla quale toglie ciò che essa ruba al padrone» (Meditazioni di un brontolone. Roma, 1887, p. 213). Questo Baldissera, nel quale sotto nuove spoglie ritroviamo Truffaldino, sfruttatore della sorella Smeraldina nell’Uomo di mondo, e un po’ l’Arlecchino della Buona moglie (così come Francesca ricorda Gate, pessima custode della Bettina), ferma a lungo l’acuta analisi del Dejob. «Il secolo decimottavo osò mettere in scena l’amante che ordina alla ganza di mantenerlo e gliene specifica i mezzi», osserva egli, ma dà lode al Goldoni di non aver messo troppo in vista questa figura «perchè lo spettatore si stanca subito di personaggi spregevoli» (Les femmes dans la com. franç, et ital. au XVIII. s., Paris, 1899, pp. 271-273). Come il Dejob ogni critico del nostro tempo mette in rilievo il naturalismo del dramma. «Questa Donna — osserva G. Di Martino — ha qualità fisiologiche e sociali precorritrici che rivelano più d’una bassezza, e perciò, forse, non piacque quando appare; e perciò, forse, pentito nella sua grande bontà ed onesta di cuore, il suo creatore non volle più riconoscerla tra le sue molte creature» (Il Proscenio, Napoli, 10 ottobre 1900). E l’Oliva: «Questa commedia è di un ardimento singolare: la protagonista è una cameriera, amante d’un vecchio ricco, un vecchio ch’ella spoglia a pro d’un altro amante, l’amante del cuore, un «souteneur».... Badiamo: il teatro di quel tempo non permetteva assolutamente situazioni di questo genere, quindi il poeta dovette procedere ad accenni, cercando far comprendere: e v’è riuscito, e la commedia assume di tanto in tanto un carattere di serietà profonda e di crudo e quasi violento realismo. Di qui grande interesse letterario» (Note di uno spettatore. Bologna, [1911], p. 19). Dice bene del lavoro pure quel critico spesso imbronciato ch’è Marcus Landau: «In parecchie commedie il Goldoni descrive, imitando la Serva padrona del Nelli, una massaia prudente, ma cattiva o ipocrita che domina il padrone e per lui la casa intera. Così nella D. d. g., una commedia proprio bellina, dove gli alessandrini del dialogo accompagnano assai bene il rapido movimento dell’azione, e che, fatto curioso, alla recita cadde» (Gesch. d. ital. Liter. im XVIII. Jahrh.. Berlin, 1899, pp. 421, 422). Assai men tenero appare invece il De Gubernatis che se ne sbriga con questa sommaria condanna: «La donna di governo, una variante e rifrittura non bene riuscita della serva padrona» (C. G., Corso di lezioni, Firenze, 1911, p. 313). Devesi intendere del motivo della serva padrona?

Il quadro d’abiezione offerto dalla commedia massime nel gruppo dei personaggi più umili (Valentina, Francesca, Baldissera e Tognino) e in contrasto evidente con la tesi propugnata, con sì inesausto fervore, dal Falchi, che