Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVI.djvu/170

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164 ATTO TERZO
So che ve ne accorgeste. Nè credevi capace.

In mercè della stima, di essere mendace.
Signora, ad ispiegarvi l’onestà vostra impegno.
Se burlaste, pazienza; per questo io non mi sdegno.
Dono all’età ridente lo scherzo menzognero;
Ma per pietà, vi prego, non mi celate il vero.
Marinetta. Che el vaga a dir ste cosse a quella dall’anelo.
Ferdinando. Non mi mortificate. La verità vi svelo.
Parvemi conveniente sì piccolo tributo
A figlia cui sembrava l’anello esser piaciuto.
Ma da’ miei labbri intesero, se ho dell’amor per essa,
La madre mascherata e la fanciulla istessa.
Ambe da voi sfidate a dir la verità,
Dicano se di voi lodata ho la beltà.
E se il merito vostro in faccia lor vantato,
Mi fe’ dal loro sdegno schernito e strapazzato.
Voi siete quella sola che in città sì famosa
Apparve agli occhi miei più amabile e vezzosa.
E se del vostro affetto posso sperare il dono,
Sull’onor mio, vel giuro, lieto e felice io sono.
Marinetta. Sento a mover i piatti, xe ora de disnar.
La vaga in quella camera, la se vaga a scaldar.
Ferdinando. Così mi rispondete?
Marinetta.   Vorlo andar? (con impazienza)
Ferdinando.   Non gridate.
Anderò, mia signora, senza che mi mandiate.
(Mi piace, è figlia sola, ha delle facoltà.
Parmi di non spiacerle, voglio sperar. Chi sa?) (parte)
Marinetta. Ah, sto sior Ferdinando el xe suttilo1 e fin.
No vorria incocalirme 2, e perder el morbin.
Vardè, quando che i dise; per quanto che sia esperta.
Per quanto che abbia fatto, la burla è descoverta.
De sta sorte de burle no ghe ne fazzo pi.
Se troppo andemo avanti, togo de mezzo mi.

  1. Sottile.
  2. Instupidirmi, e quindi innamorarmi. Da cocal. V. Boerio.