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246 ATTO SECONDO


Cavaliere. A chi piace una cosa, a chi piace l’altra.

Felicita. Io voglio ridere, l’avete inteso?

Cavaliere. Piace anche a me di ridere, ma io rido ancorchè non vi sieno le maschere.

Costanza. Oh, voi in materia di teatro siete di un gusto il più depravato del mondo. Basta dir che vi piacciono i versi martelliani.

Cavaliere. Mi piacciono certo, però quando sieno ben recitati.

Costanza. Io darei delle martellate a chi li ha inventati.

Cavaliere. Pover’uomo, non lo mortificate. Potete credere, ch’ei farà più fatica a scrivere in verso che in prosa: s’ei fa questa maggior fatica, vi dev’essere una ragione, e la ragione è questa, che qui in Venezia piacciono, ci hanno preso gusto, ed egli è forzato di continuarli. Vi direi qualche altra cosa su questo proposito; ma se niente, niente mi estendo, mi direte che un discorso lungo vi secca.

Felicita. Già mi era principiata a seccare.

Costanza. Chi viene?

Felicita. Due maschere vestite alla giardiniera.

Cavaliere. Quanto mi piacciono queste mascherette graziose. (si alzano da sedere)

Costanza. Al signor Cavaliere piacciono tutte le donne.

Cavaliere. Tutte no veramente. Mi piacerebbono tutte, se tutte avessero il merito della signora Costanza; se tutte avessero il pregio della signora Felicita. (Se tutte le donne fossero come queste, non ne saprei che fare da galantuomo). (da sè)

SCENA X.

Dorotea e Pasquina mascherate alla giardiniera, con morettina di velluto nero sul volto, e panieri in mano con frutti; e detti.

Dorotea. (Fanno riverenza, senza parlare.
Pasquina

Felicita. Le conoscete? (a Costanza)

Costanza. Io no certamente.