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LE DONNE DI BUON UMORE 255


Felicita. Li ho sentiti: cose sciocche, non concludono niente.

Cavaliere. Li avete sentiti in verso, o in prosa?

Felicita. In prosa, in prosa; in verso non li avrei ascoltati.

Costanza. Li sentirei volontieri questi gran precetti, che vi spaventano.

Cavaliere. Li so a memoria; se volete, ve li dirò.

Costanza. Mi farete piacere.

Cavaliere. Ma sono in versi.

Costanza. Pazienza.

Felicita. Versi martelliani?

Cavaliere. Sì signora.

Felicita. Con vostra buona licenza, io non voglio sentir questa seccatura. (parte)

SCENA III.

Costanza ed il Cavaliere.

Cavaliere. Così va fatto; se non le piacciono, fa bene a non soffrirne la noia. Sarebbe una scioccheria il pretendere che dovesse piacere a tutti quel che piace a me.

Costanza. Via, fatemi sentir questi versi.

Cavaliere. Ben volentieri, e se mi accorgerò che vi diano noia, li troncherò a mezza strada. Così dunque diceva madama di Bignè al suo cavaliere servente:

" Chi di servir s’impegna, dee farlo ad ogni costo,
" Dee meritar soffrendo di mantenersi il posto.
" Prendere in buona parte rimproveri ed asprezze,
" Pagare a caro prezzo i scherzi e le finezze.
" Lasciare ogni amicizia, star seco in compagnia,
" Cambiar, quando ella cambia, il serio1 o l’allegria.
" Non deve dir, ch’è buono quello che piace a lui,
" Ma regolar si deve coi sentimenti altrui.

  1. Nel Cavalier Giocondo, atto V, sc. II, leggesi; «il pianto ecc.» Vedasi vol. XII della presente edizione, p. 101.